Basket
"Non riesco quasi più a muovermi"
Nello sport di alto livello sempre più atleti sono perseguitati dal "dolore" dopo il ritiro
Pubblicato il 22.07.2022 04:12
di Angelo Lungo
Gli atleti del terzo millennio sono considerati dei simboli, suscitano un forte processo di identificazione. Nell'immaginario collettivo rappresentano degli esempi da seguire, sono considerati degli eroi invincibili. Ai tempi dei social le loro imprese vengono amplificate e raccontate con dovizia di particolari. Sono strapagati. E loro mettono al centro dell'attenzione il corpo: lo esibiscono, lo curano e lo portano al massimo. Ma non solo, sono sottoposti a sforzi emotivi, una tensione continua, una pressione che li porta a limiti, talvolta, insopportabili. Le stagioni diventano sempre più lunghe e logoranti.
I medici sportivi sostengono che sono fatti di una pasta diversa e sono in grado di sopportare meglio il dolore. E dopo? Succede che cresce il numero di sportivi che sono confrontati con gravi problemi di salute, quando la carriera è terminata.
L'ultimo a raccontare la sua storia è stato Dirk Nowitzki, 44 anni, una ex leggenda del basket NBA, per 21 stagioni ha vestito i colori dei Dallas Mavericks.
Le sue parole non possono che far riflettere: “Se mi fossi ritirato due anni prima, sono sicuro che ora sarei in grado di muovermi meglio”. Ha, quasi, perso la mobilità. Non può nemmeno giocare a calcio con i ragazzi. Lealtà, interesse? Ora il prezzo che paga è alto, un autentico calvario nella vita quotidiana. La normalità che non può più essere tale.
Problemi fisici che condizionano la vita poiché: “Non è facile essere in chiaro quando bisogna fermarsi”. Il contesto non consente scelte realistiche. E si chiede troppo dal proprio corpo.
L'elenco di sportivi, di alto livello, che lamentano gravi problemi fisici comincia a essere lungo.
Andy Murray ha cominciato a soffrire di artrosi all'anca e ora ha una protesi.
Usain Bolt non era una macchina perfetta: colonna vertebrale poco rinforzata e gamba destra più corta di 1,5 centimetri rispetto alla sinistra. Era fragile e ha subito numerosi infortuni.
Andre Agassi ha lasciato poiché troppo forti le pressioni familiari e i dolori fisici. Aveva una vertebra disallineata. All'improvviso un singolo movimento diventava una tortura.
Ian Thorpe, cinque volte campione olimpico, ha rischiato di perdere la mobilità del braccio sinistro. Ha, poi, sofferto anche di una forte depressione.
Marco Van Basten, nel suo libro, ha confidato che i medici non lo hanno mai aiutato. La sua caviglia peggiorava sempre di più. E che a un certo punto non riusciva nemmeno a camminare. Si ritirò quando aveva solo 28 anni.
Scrive Lucio Anneo Seneca: “Non è libero chi è schiavo del proprio corpo”.