Manchester
è una delle capitali del calcio inglese. Una città, due squadre,
una storia che raccontava solo dello United, il City relegato a mera
comparsa. Poi all'improvviso tutto è cambiato.
Nel
settembre del 2008 arriva, sponda City, dagli Emirati, l'Abu Dhabi
Group. Investimenti annuali e un diluvio di denaro. Nessun risparmio:
ingaggiati i migliori talenti e grandi allenatori. L'albo d'oro
recita: sei Premier; due FA Cup; sei Coppe di Lega; tre Community
Shield. Manca il “supremo” trofeo: la Coppa dalle grandi
orecchie. Trasformare una formazione di basso livello in una
superpotenza ha avuto un costo: gli arabi hanno versato nelle casse
del club oltre 1,54 miliardi di euro, più altre cifre immesse nella
voce ricavi. Il fatturato, negli ultimi dieci anni, è cresciuto del
556%, quello del 2020/21 ammonta a 641 milioni, mentre le spese hanno
toccato quota 700 milioni.
Un
autentico strapotere economico, su cui Uefa e Premier controllano ma
senza disturbare. Sul piano tecnico parla il campo: il City gioca un
gran calcio, diverte. Paga lautamente il suo tecnico. Ha un progetto,
seppure oneroso.
Lo
United, invece, è precipitato. Uno sprofondo finanziario e di
risultati. Dopo l'abbandono di Ferguson, avvenuto nel 2013, ecco la spirale di una crisi continua. Sulla panchina si sono succeduti:
Moyes; Van Gaal; Mourinho; Giggs; Carrick; Solskjaer; Rangnick; ora
Ten Hag. I proprietari americani hanno messo a disposizione ingenti
risorse. Un via vai di giocatori acquistati a peso d'oro e poi
svenduti. Ogni anno una rivoluzione, ma la competitività è
scomparsa. Un declino lento e inesorabile. La stagione è cominciata
in maniera disastrosa: due sconfitte nette e
ambizioni declinate al ribasso. L'olandese Ten Hag è chiamato a fare
un'impresa: formare una squadra, darle un'anima, costruire
un'identità. Avrebbe bisogno di tempo. Ma il calcio moderno corre
veloce. Vincere significa attrarre sponsor e consente di aumentare in
modo esponenziale i ricavi. Ma le avversarie sono agguerrite. Il club
sembra fondare il suo progetto sul mercato: è un compratore
compulsivo, è ancora alla ricerca di rinforzi.
E
poi ci sarebbe il “caso” Ronaldo: il portoghese è inquieto, lui
si sente un vincente e vuole lasciare, ma è prigioniero di un
contratto milionario.