Ma sì, dai, dividiamoci anche su questo, il calcio femminile
e quello maschile. Premetto – ormai sono un tizio più di premesse che di
promesse – che il calcio femminile non mi appassiona, seppure con tutti i suoi diritti
e le sue peculiarità. Ma che tra queste peculiarità ci sia anche che “le donne
sanno valutare meglio le probabilità di riuscire a impossessarsi della palla e
cercano di giocare di anticipo anche per evitare duelli diretti che sono
pertanto ridotti al minimo” lascia un tantino perplessi, anche se può perfino
essere vero, ma non è obbligatorio crederci.
Lo ha detto Martina Moser, attuale team manager dello Zurigo
maschile ed ex-nazionale rossocrociata, tutto d’un fiato e senza virgole, forse
per giocare d’anticipo. Perché si sa, le virgole rallentano, i punti e virgola
azzoppano e i punti bloccano (gli esclamativi vociano, gli interrogativi
stendono al simposio platonico).
Tutto questo panegirico per confermare quanto la Suva e
l’Asf, di concerto, sanciscono: a giocare più duro sono le squadre di Prima e
Seconda Lega, maschiacci semidilettanti che non sanno calcolare bene le
distanze e le conseguenze degli impatti, con relativo aumento di infortuni e
quindi, eccoci qua, di costi.
Facciamo però che i maschi che giocano a calcio sono dieci
volte di più delle donne, ma bon, questo è un retaggio patriarcale che parte
dalla guerra vera a quella simulata. Ma contrapporre continuamente le due metà
del mondo un po’ stanca, no?
Gli è che il calcio è fatto così, non ci sono regolamenti
che possano limitare a zero i contatti. A meno che, a furia di norme di
sicurezza, la si faccia fuori alla playstation per sempre, per arrivare a
un’applicazione globale e virtuale di tutto quanto preveda uno scontro, voluto
o fortuito. Poi magari aumenteranno i casi di epicondilite e uno studio ci dirà
che le donne ne soffrono meno dei maschi e allora avanti con i casi, le
tendenze, le regolamentazioni e il sonomegliodité come genere e come capacità
di anticipo.
Lo so che non va bene dirlo, ma a me il calcio a distanza
come se avessimo paura di contagiarci con i contatti non mi garba, con buona
pace della Suva, dell’Asf, degli arbitri, del Var, delle donne e di tutti
quelli che pensano di sterilizzare l’esistenza con l’idea nobile di contenere
la nostra brutalità belluina, ma soprattutto i costi sanitari che ne derivano.
Ora guardo la replica di un Boca – River del 1978, quando se
le davano in modo glorioso. Vamos.