INTERVISTA A RAETO RAFFAINER DA POCHI GIORNI A BERNA PER RILANCIARE GLI ORSI
"Un'occasione che dovevo assolutamente cogliere"
Raeto Raffainer, da pochi giorni passato al Berna, ci parla del momento che sta vivendo
Pubblicato il 11.02.2021 15:32
di Luca Sciarini
La telefonata che ti cambia la vita. A Raeto Raffainer è arrivata un paio di settimane fa.
Dall’altro filo del telefono Marc Lüthi, CEO del Berna. Il tenore della telefonata era più o meno questo:
“Abbiamo intenzione di creare una nuova posizione all’interno del nostro staff e abbiamo pensato a te. So che hai un contratto a Davos ma colgo l’occasione per chiederti se sei interessato a venire da noi”.
Il Berna che ti chiama e ti offre un ruolo così (Chief Sport Officer) non è cosa da tutti i giorni. Nemmeno a uno come Raffainer, già direttore delle squadre nazionali e da due anni direttore sportivo a Davos.
“In effetti è una di quelle telefonate che non ti aspetti e quando accade rimani un po’ sorpreso. Poi come mi capita spesso quando devo prendere delle decisioni importanti, ci dormo sopra una notte. Questa volta però ero in auto e stavo andando a Friborgo per una nostra partita e ho chiamato subito mia moglie”.
Cosa le ha detto?
“Mia moglie, che è bernese, mi ha detto che era una di quelle opportunità che nella vita capitano una volta sola e che avremmo dovuto rifletterci bene. Oltretutto lei aveva già lavorato per la Direzione del Berna, porta a porta proprio con Marc Lüthi per cinque anni in passato e conosce benissimo l’organizzazione della società. Anch’io conosco bene l’ambiente per averci giocato per tre anni e quando sono entrato negli uffici 8 giorni fa ho ritrovato con grande piacere l’80% delle persone che conoscevo”.
E a Davos come l’hanno presa?
“Mi hanno detto che loro adesso sarebbero stati in difficoltà ma che capivano benissimo la mia scelta, soprattutto quando gli ho spiegato il ruolo che sarei andato a ricoprire. Mi hanno detto anche loro che era un’offerta che non potevo rifiutare”.
Per tanto tempo si era detto che il Berna era interessato a Mc Sorley: lei cosa sa?
“So quello che mi avevano detto i dirigenti del Berna, ossia che c’era un altro candidato oltre a me. Immagino fosse Mc Sorley”.
Che invece potrebbe andare a Lugano: cosa ne pensa?
“Mc Sorley a Ginevra ha fatto un lavoro incredibile: non ha vinto titoli ma è arrivato due volte in finale e giocare contro la sua squadra era sempre molto difficile. E stiamo parlando di una squadra che non era certo il top della Lega. Senza di lui Ginevra non sarebbe ciò che è adesso”.
Torniamo a Berna: che ambiente ha trovato con una squadra ultima in classifica?
“Chiaramente essere ultimi non piace a nessuno ma anche quando due anni fa firmai per il Davos ricordo che la squadra andava malissimo e soprattutto era reduce da alcune pesanti scoppole. Un po’ come il Berna adesso: con il tempo la situazione è migliorata”.
Lei come si spiega questa brutta situazione?
“Diciamo che non è più il Berna di qualche anno fa, che partiva per vincere il campionato. Questa è una squadra da 6.-9. posto, non di più. Ricordiamoci che sono partiti elementi come Arcobello, Genoni e Haas, non facilissimi da sostituire. Soprattutto un centro svizzero come Haas è impossibile da rimpiazzare: lui era il numero uno. Se ci aggiungiamo i molti infortunati e le tre settimane di quarantena, ecco spiegato il perché la squadra si trovi in fondo alla classifica”.
A Berna dovrà lavorare con la General Manager Florence Schelling.
“Conosco molto bene Florence, l’avevo presa io come assistente allenatore in nazionale e poi come Head Coach con la Under 18. Sono sicuro che lavoreremo in grande sintonia. D’altronde i nostri ruoli sono diversi: lei si occuperà di tenere i contatti con gli agenti dei giocatori, io da parte mia dovrò cercare di dare un occhio all’aspetto economico”.
Qualcuno però ha criticato Schelling per i risultati di quest’anno.
“Florence è a Berna da nove mesi e quando è arrivata la squadra per questa stagione era già fatta. L’unica scelta che le si può forse imputare è quella dell’allenatore Nachbaur che purtroppo non è riuscito ad imporsi. Ma le critiche che ha subito mi sono sembrate molto ingiuste”.
Quanto tempo ci vorrà per far tornare grande il Berna?
“Ci siamo dati tre anni di tempo per tornare a lottare per il titolo. Per farlo bisognerà costruire una squadra che abbia un potenziale da top 4: quando si raggiungono quei livelli tutto diventa possibile. Anche vincere un campionato”.
A proposito di campionato: vincere il titolo quest’anno avrà lo stesso valore del passato?
“Sul ghiaccio avrà lo stesso valore. Si gioca sempre sei contro sei ed è sempre una battaglia per il disco. È ovvio che senza pubblico c’è meno emozione e soprattutto i giocatori all’inizio hanno fatto molta fatica ad adattarsi. Ricordo le ultime due partite dello scorso campionato, le prime senza pubblico: avessimo battuto Ambrì e Rapperswil, avremmo concluso la Regular Season al primo posto. Purtroppo andò male perché la squadra soffrì moltissimo l’ambiente della pista vuota”.
A Berna di solito ce ne sono 16 mila: per i giocatori non dev’essere facile.
“Senza dubbio. Ricordo quando giocavo a Berna, soprattutto le partite della domenica, quando si era un po’ stanchi per aver giocato la sera prima, era il pubblico che ti spingeva. Adesso tutto questo ovviamente manca moltissimo”.
E manca moltissimo anche a livello economico.
“Diciamo semplicemente che senza i prestiti dello stato il Berna non ci sarebbe più. Sarebbe tutto finito. Questo è un club costruito su un modello di pubblico e ristorazione, non ha grossissimi sponsor o un presidente facoltoso. Facile capire quanto sia stata dura per il club questa pandemia”.
E il futuro come lo vede?
“Il Berna non può permettersi un’altra stagione così, dalla prossima deve tornare tutto come prima, altrimenti sarà veramente difficile, per non dire impossibile, far quadrare i conti”.
A proposito di numeri: cosa mi dice dei sette stranieri che potranno schierare le squadre dalla stagione 22/23?
“Da un certo punto di vista non credo che cambierà moltissimo. Tanti club hanno già 6,7 o 8 stranieri e inoltre credo che i prezzi per alcuni giocatori svizzeri, come il portiere, il centro della prima linea o chi gioca spesso in powerplay, dovrebbero scendere grande al mercato più grande che avremo a disposizione. Dall’altra parte è vero che per i settori giovanili e per la squadra nazionale, il compito potrebbe diventare più arduo se le squadre metteranno i giocatori stranieri nelle posizioni più importanti. Mi auguro che possa arrivare presto il fair play finanziario e a quel punto il passaggio ai sette stranieri non sarebbe così grave. Direi che si tratta tutto sommato di un buon compromesso, molto meglio della prima proposta che ne voleva addirittura dieci”.