La telefonata che
ti cambia la vita. A Raeto Raffainer è arrivata un paio di settimane fa.
Dall’altro filo
del telefono Marc Lüthi, CEO del Berna. Il tenore della telefonata era più o
meno questo:
“Abbiamo
intenzione di creare una nuova posizione all’interno del nostro staff e abbiamo
pensato a te. So che hai un contratto a Davos ma colgo l’occasione per
chiederti se sei interessato a venire da noi”.
Il Berna che ti chiama
e ti offre un ruolo così (Chief Sport Officer) non è cosa da tutti i giorni. Nemmeno
a uno come Raffainer, già direttore delle squadre nazionali e da due anni direttore
sportivo a Davos.
“In effetti è una
di quelle telefonate che non ti aspetti e quando accade rimani un po’ sorpreso.
Poi come mi capita spesso quando devo prendere delle decisioni importanti, ci
dormo sopra una notte. Questa volta però ero in auto e stavo andando a Friborgo
per una nostra partita e ho chiamato subito mia moglie”.
Cosa le ha detto?
“Mia moglie, che
è bernese, mi ha detto che era una di quelle opportunità che nella vita
capitano una volta sola e che avremmo dovuto rifletterci bene. Oltretutto lei
aveva già lavorato per la Direzione del Berna, porta a porta proprio con Marc Lüthi
per cinque anni in passato e conosce benissimo l’organizzazione della società. Anch’io
conosco bene l’ambiente per averci giocato per tre anni e quando sono entrato
negli uffici 8 giorni fa ho ritrovato con grande piacere l’80% delle persone
che conoscevo”.
E a Davos come l’hanno
presa?
“Mi hanno detto
che loro adesso sarebbero stati in difficoltà ma che capivano benissimo la mia
scelta, soprattutto quando gli ho spiegato il ruolo che sarei andato a ricoprire.
Mi hanno detto anche loro che era un’offerta che non potevo rifiutare”.
Per tanto tempo
si era detto che il Berna era interessato a Mc Sorley: lei cosa sa?
“So quello che mi
avevano detto i dirigenti del Berna, ossia che c’era un altro candidato oltre a
me. Immagino fosse Mc Sorley”.
Che invece
potrebbe andare a Lugano: cosa ne pensa?
“Mc Sorley a Ginevra
ha fatto un lavoro incredibile: non ha vinto titoli ma è arrivato due volte in
finale e giocare contro la sua squadra era sempre molto difficile. E stiamo
parlando di una squadra che non era certo il top della Lega. Senza di lui
Ginevra non sarebbe ciò che è adesso”.
Torniamo a Berna:
che ambiente ha trovato con una squadra ultima in classifica?
“Chiaramente
essere ultimi non piace a nessuno ma anche quando due anni fa firmai per il
Davos ricordo che la squadra andava malissimo e soprattutto era reduce da alcune
pesanti scoppole. Un po’ come il Berna adesso: con il tempo la situazione è
migliorata”.
Lei come si
spiega questa brutta situazione?
“Diciamo che non
è più il Berna di qualche anno fa, che partiva per vincere il campionato. Questa
è una squadra da 6.-9. posto, non di più. Ricordiamoci che sono partiti
elementi come Arcobello, Genoni e Haas, non facilissimi da sostituire.
Soprattutto un centro svizzero come Haas è impossibile da rimpiazzare: lui era
il numero uno. Se ci aggiungiamo i molti infortunati e le tre settimane di
quarantena, ecco spiegato il perché la squadra si trovi in fondo alla
classifica”.
A Berna dovrà
lavorare con la General Manager Florence Schelling.
“Conosco molto
bene Florence, l’avevo presa io come assistente allenatore in nazionale e poi
come Head Coach con la Under 18. Sono sicuro che lavoreremo in grande sintonia.
D’altronde i nostri ruoli sono diversi: lei si occuperà di tenere i contatti con
gli agenti dei giocatori, io da parte mia dovrò cercare di dare un occhio all’aspetto
economico”.
Qualcuno però ha criticato
Schelling per i risultati di quest’anno.
“Florence è a
Berna da nove mesi e quando è arrivata la squadra per questa stagione era già
fatta. L’unica scelta che le si può forse imputare è quella dell’allenatore Nachbaur
che purtroppo non è riuscito ad imporsi. Ma le critiche che ha subito mi sono sembrate
molto ingiuste”.
Quanto tempo ci
vorrà per far tornare grande il Berna?
“Ci siamo dati tre
anni di tempo per tornare a lottare per il titolo. Per farlo bisognerà
costruire una squadra che abbia un potenziale da top 4: quando si raggiungono
quei livelli tutto diventa possibile. Anche vincere un campionato”.
A proposito di
campionato: vincere il titolo quest’anno avrà lo stesso valore del passato?
“Sul ghiaccio avrà
lo stesso valore. Si gioca sempre sei contro sei ed è sempre una battaglia per
il disco. È ovvio che senza pubblico c’è meno emozione e soprattutto i
giocatori all’inizio hanno fatto molta fatica ad adattarsi. Ricordo le ultime
due partite dello scorso campionato, le prime senza pubblico: avessimo battuto
Ambrì e Rapperswil, avremmo concluso la Regular Season al primo posto.
Purtroppo andò male perché la squadra soffrì moltissimo l’ambiente della pista
vuota”.
A Berna di solito
ce ne sono 16 mila: per i giocatori non dev’essere facile.
“Senza dubbio.
Ricordo quando giocavo a Berna, soprattutto le partite della domenica, quando
si era un po’ stanchi per aver giocato la sera prima, era il pubblico che ti
spingeva. Adesso tutto questo ovviamente manca moltissimo”.
E manca moltissimo
anche a livello economico.
“Diciamo semplicemente
che senza i prestiti dello stato il Berna non ci sarebbe più. Sarebbe tutto
finito. Questo è un club costruito su un modello di pubblico e ristorazione,
non ha grossissimi sponsor o un presidente facoltoso. Facile capire quanto sia
stata dura per il club questa pandemia”.
E il futuro come
lo vede?
“Il Berna non può
permettersi un’altra stagione così, dalla prossima deve tornare tutto come
prima, altrimenti sarà veramente difficile, per non dire impossibile, far
quadrare i conti”.
A proposito di numeri:
cosa mi dice dei sette stranieri che potranno schierare le squadre dalla
stagione 22/23?
“Da un certo
punto di vista non credo che cambierà moltissimo. Tanti club hanno già 6,7 o 8
stranieri e inoltre credo che i prezzi per alcuni giocatori svizzeri, come il
portiere, il centro della prima linea o chi gioca spesso in powerplay, dovrebbero
scendere grande al mercato più grande che avremo a disposizione. Dall’altra
parte è vero che per i settori giovanili e per la squadra nazionale, il compito
potrebbe diventare più arduo se le squadre metteranno i giocatori stranieri
nelle posizioni più importanti. Mi auguro che possa arrivare presto il fair
play finanziario e a quel punto il passaggio ai sette stranieri non sarebbe
così grave. Direi che si tratta tutto sommato di un buon compromesso, molto
meglio della prima proposta che ne voleva addirittura dieci”.