Ci
sono personaggi, nel mondo del calcio, che attraversano i tempi da
protagonisti. Fanno discutere, sono divisivi e creano partigianerie.
Quasi sempre sono dei visionari e hanno una notevole autostima, che
talvolta si trasforma in sicumera. Hanno convinzioni forti e
incedono scevri di timori. Tale è Arrigo Sacchi.
Attualmente
è uno dei principali opinionisti de “La Gazzetta dello Sport”.
La rosea ha un potere mediatico considerevole, provoca e conduce il
dibattito. Ha una cassa di risonanza che non ha rivali nell'ambito
della stampa sportiva.
È
notizia di qualche giorno fa che Sacchi è stato insignito del
“Premio del Presidente dell'Uefa” per il 2022. Sostiene il
presidente Ceferin che è stato scelto per rendere: “Omaggio a uno
dei più grandi allenatori di tutti i tempi”. È ritenuto come “un
individuo eccezionale”, poiché ha raggiunto “un'eccellenza
professionale”, lasciando una grande eredità. La sua filosofia di
gioco è stata una vera e propria rivoluzione. La motivazione
continua affermando che: “Il calcio può essere distinto in due
epoche diverse: pre e post Sacchi”. Generazioni di allenatori si
sarebbero ispirati alle sue idee innovative.
La
storia del tecnico è nota. Profondo studioso del calcio. Non lo ha
mai praticato ad alti livelli. Da allenatore ha fatto una lunga
trafila prima di approdare al Milan. Il suo credo: difesa
rigorosamente in linea, nel campionato dove trionfava il libero;
fuorigioco sistematico; pressing alto e asfissiante; squadra compatta
e dai movimenti collaudati, che venivano provati durante allenamenti
estenuanti.
Condusse
i rossoneri alla vittoria del titolo nella stagione 1987-88 e alla conquista di
due Coppe dei Campioni nel 1989 e nel 1990.
Circa
un mese fa, Sacchi, sulle colonne del giornale milanese, ha duramente
attaccato Coverciano, in riferimento al percorso per diventare
allenatore. Asserendo che secondo le modalità previste in Italia,
lui, Klopp e Zeman non avrebbero opportunità. Ci sarebbero dei forti
ostacoli per chi volesse intraprendere la carriera di tecnico, ma non
ha mai calcato i campi di calcio come professionista.
Così
è Sacchi. C'è chi lo ritiene un genio e un rivoluzionario, c'è chi
lo considera un fortunato e asserisce che: allenava uno squadrone e in campo
internazionale, a quei tempi, le formazioni inglesi erano bandite dai
tornei organizzati dall'Uefa.
Chiosa
il Profeta di Fusignano: “Per diventare un buon allenatore non
bisogna essere stati, per forza, dei campioni; un fantino non ha mai
fatto il cavallo”.