Abbiamo letto con piacere il pezzo di Giorgio Genetelli, apparso
su questa testata, perché, come lui, avendo i capelli grigi, abbiamo visto
tanti bei giocatori calcare il terreno dei tanti stadi visitati nella nostra
avventura da tifosi, prima che da cronisti di sport. Da Gianni Rivera a
Sandrino Mazzola, senza scordare Roberto Boninsegna, Bettega, Anastasi e, in
tempi più recenti, Van Basten, Maradona, Zinedine Zidane, oltre a Messi e
Cristiano Ronaldo, per citare solo una piccola parte della nostra collezione di
calciatori visti giostrare dal vivo.
Da piccoli, e non solo, leggevamo anche tanto di calcio. Tra le
tante parole lette, ce ne ricordiamo alcune che ci sono rimaste impresse: le
scrisse uno dei maestri di questo mestiere, Gianni Brera, il giorno dopo il
famoso Italia-Argentina dei mondiali spagnoli del 1982: " (...)
Maradona ha imparato una volta di più che il calcio ha i suoi assiomi, uno dei
quali è il seguente: che tu puoi essere l’iddio della pelota in terra, però se
un Gentile non te la lascia toccare, tu sei un iddio che lascia la palla a
Gentile…”. Poca righe, peraltro già utilizzate in passato: se uno scarso
corre più di te, e arriva prima su tutti i palloni, o è più forte fisicamente e
ti domina nei contrasti, c'è un problema, anche se sei più bravo tecnicamente.
Ecco, noi riteniamo che questo sia il grande fascino del calcio:
la tattica. Brera, sempre lui, sosteneva che fosse proprio questo aspetto a
consentire a squadre meno dotate da diversi punti di vista (tecnica
individuale, condizione fisica e atletica) di battere quelle più forti di loro.
In altri sport, per dire, non succede: nel basket, molto difficilmente una
squadra europea potrà superarne una della NBA. A parità di livello, ci
azzarderemmo a dire che la vincitrice dell'Eurolega contro la campione USA, in
una serie di tre sfide, non avrebbe scampo, nonostante anche nella
pallacanestro ci sia un aspetto tattico (la 1-3-1 dell'Olimpia Milano ai tempi
di Dan Peterson, per esempio, era davvero un'arma finale).
Intendiamoci: nel calcio, soprattutto quello di oggi, accade
sempre meno di vedere una squadra debole superarne una più forte. Il problema è
differente, come sappiamo, ed è legato alla forza economica di alcuni movimenti
rispetto ad altri. Ormai, come si sa, il calcio a livello di club si è
spezzato in diversi tronconi, con alcuni Paesi (l'Inghilterra in particolare,
più alcuni club in Spagna, Germania e Francia) in grado di orientare il
movimento ma, soprattutto, di attrarre i talenti più cristallini. Oltre confine
c'è ancora qualcuno che crede di far parte dell'élite: ma non è un caso che un
campione della Serie A che arrivi alla maturità tenda, appena possibile, ad
andare a giocare Oltremanica o in una delle società di vertice del club
ristretto. Perché esistono la narrazione (che nutre le anime semplici) e la
realtà delle cose. E quando la differenza di tecnica individuale (e non solo:
in Inghilterra si corre, come ben sanno gli appassionati che, anche da noi, non
si perdono una partita di Premier League) è così elevata, non c'è spazio per
niente altro. Ci azzarderemmo a dire, anche, che per il Regno Unito il football
abbia un interesse di natura squisitamente geopolitica: non è passato
inosservato l'intervento di Boris Johnson ai tempi del lancio della Super
League. E la tutela degli interessi economici degli altri club era solo uno
degli aspetti in gioco. Ma torniamo allo stadio.
La tattica. quindi. Si è parlato molto delle problematiche della
Juventus di Allegri, e dei 9 palloni giocati in totale da Dušan Vlahović a Genova,
contro la Sampdoria: uno ogni 10 minuti. Pochi, per una squadra che ambisce a
traguardi prestigiosi. Nonostante i bianconeri giochino a 4 in difesa. La Roma
gioca con i 3 terzini (e uno di loro ha deciso la sfida con la Cremonese,
nell'ultima giornata di campionato): ma non si può dire che non abbia le
potenzialità per fare vedere un gioco di buona qualità.
In definitiva, non ce la sentiamo di prendercela troppo con chi
gioca a 3 dietro. Le squadre sono brutte quando gli interpreti hanno scarsa
qualità. Che vuol dire che hanno bassa tecnica individuale, che corrono poco e
fisicamente non sono prestanti. Le squadre sono brutte quando non vincono, in
definitiva: se lo fanno, diventano bellissime. E il trucco per provarci è
capire come farle rendere al meglio, creando un amalgama tra i singoli
giocatori e la disposizione in campo, esaltando le caratteristiche positive dei
singoli, facendoli lavorare in modo mirato per svilupparle il più possibile.
Non sempre nel calcio vince il più forte, infatti: però, succede sovente.
Mentre invece, a parità di levello o pressapoco, sicuramente prevale chi sa
interpretare nel migliore dei modi i punti deboli degli avversari, arginando
nel contempo quelli di forza: magari, a volte, diventando brutto. Come Gentile
con Maradona, quel pomeriggio al Sarrià. Certo, coi metri di oggi l'azzurro non
avrebbe terminato la gara (non solo lui, anche diversi altri protagonisti e da
entrambe le parti): ma quando lo sport diventa leggenda si lavora tanto di
memoria. Che, come diceva il grande storico (e non solo) Marc Bloch, non è
affidabile, se si vogliono fare ricostruzioni storiche. Una su tutte: il primo
fallo di Gentile sull'asso argentino avvenne al 26'. Per la precisione.