Calcio
La maglia di Maradona
Matthäus dona al museo la casacca indossata dal fuoriclasse argentino nel Mondiale del 1986
Pubblicato il 27.08.2022 04:09
di Angelo Lungo
Era il Mondiale del 1986. In Messico si giocava il quarto di finale Argentina-Inghilterra. Non era una semplice sfida sportiva. I calciatori percepivano una missione: si trattava di rivendicare l'orgoglio del proprio popolo. Patria e Nazione non sono solo categorie evocative, ma potenti aggregatori, danno un significato allo stare in comunità, promettono la condivisione di un medesimo destino. Maradona punì gli inglesi prima in maniera beffarda e poi in modo sublime. Evocò la “Mano di Dio”, quella che protegge e assiste i deboli e cerca di riparare alle ingiustizie terrene.
Steve Hodge scambiò la sua maglietta con quella del sudamericano. Per anni ha declinato ogni offerta. Ma l'umano non è saldo nelle sue convinzioni, si lascia tentare, specie dal denaro. E il centrocampista ha deciso, qualche mese fa, di monetizzare. L'asta è stata un successo. Un fondo d'investimento l'ha acquistata per 8,8 milioni di euro, un record. Battuta una cordata capeggiata da Marcelo Ordas, supportato dalla Federcalcio argentina e dalla Liga, un argentino. Ordas, presidente di Legends, possiede una collezione di maglie dal valore inestimabile e prossimamente aprirà un museo di 7 piani a Madrid.
Una storia che finisce male?
Ma si può riportare Equilibrio nella forza e fare rinascere la speranza.
Ci ha pensato un grande campione: Lothar Matthäus. Il tedesco ha chiamato Ordas e gli ha offerto la casacca che Maradona indossava nella finale del Mondiale e che era in suo possesso.
Il tedesco ha spiegato: “Tutto si può comprare col denaro, ma certe cose non hanno prezzo e non si pagano. Ho deciso di fare omaggio di questa maglia perché penso che sia nel posto giusto”.
Lothar e Diego appartenevano, solo apparentemente, a mondi diversi. Sul campo erano acerrimi avversari: uno a Milano, l'altro a Napoli. Ma si incontravano. Si parlavano in italiano. Si rispettavano. Si stimavano. Li univa la consapevolezza che il calcio doveva essere anche divertimento. Erano dei generosi e non avevano attitudini spocchiose.
Un rapporto speciale e intenso.