Era
il Mondiale del 1986. In Messico si giocava il quarto di finale
Argentina-Inghilterra. Non era una semplice sfida sportiva. I
calciatori percepivano una missione: si trattava di rivendicare
l'orgoglio del proprio popolo. Patria e Nazione non sono solo
categorie evocative, ma potenti aggregatori, danno un significato
allo stare in comunità, promettono la condivisione di un medesimo
destino. Maradona punì gli inglesi prima in maniera beffarda e poi
in modo sublime. Evocò la “Mano di Dio”, quella che protegge e
assiste i deboli e cerca di riparare alle ingiustizie terrene.
Steve
Hodge scambiò la sua maglietta con quella del sudamericano. Per anni
ha declinato ogni offerta. Ma l'umano non è saldo nelle sue
convinzioni, si lascia tentare, specie dal denaro. E il
centrocampista ha deciso, qualche mese fa, di monetizzare. L'asta è
stata un successo. Un fondo d'investimento l'ha acquistata per 8,8
milioni di euro, un record. Battuta una cordata capeggiata da Marcelo
Ordas, supportato dalla Federcalcio argentina e dalla Liga, un
argentino. Ordas, presidente di Legends, possiede una collezione di
maglie dal valore inestimabile e prossimamente aprirà un museo di 7
piani a Madrid.
Una storia che finisce male?
Ma
si può riportare Equilibrio nella forza e fare rinascere la
speranza.
Ci
ha pensato un grande campione: Lothar Matthäus. Il tedesco ha
chiamato Ordas e gli ha offerto la casacca che Maradona indossava
nella finale del Mondiale e che era in suo possesso.
Il
tedesco ha spiegato: “Tutto si può comprare col denaro, ma certe
cose non hanno prezzo e non si pagano. Ho deciso di fare omaggio di
questa maglia perché penso che sia nel posto giusto”.
Lothar
e Diego appartenevano, solo apparentemente, a mondi diversi. Sul
campo erano acerrimi avversari: uno a Milano, l'altro a Napoli. Ma si
incontravano. Si parlavano in italiano. Si rispettavano. Si
stimavano. Li univa la consapevolezza che il calcio doveva essere
anche divertimento. Erano dei generosi e non avevano attitudini
spocchiose.
Un
rapporto speciale e intenso.