Non è l’orologio del cucù nella sua casetta, come potrebbe
sembrare da questa cartolina dalla svizzeritudine: è l’orologio della
Schützenwiese, “prato di tiro”, analogico e rotondo, con le finestrelle a mano
per il punteggio. Appena di fianco, c’è la curva dello sciroppo, dove stanno
sempre seduti i bambini che assieme agli 8400 di domenica hanno regalato un
giorno di festa al calcio elvetico. Quasi come gli appassionati di lotta
svizzera, in contemporanea passione a Pratteln.
Schützenwiese senza vip-lounge (greppia dei Very Importants
Pigs) e astruserie da fine dell’umanità che dividono i tifosi in categorie come
si faceva con i popoli oppressi dell’Ottocento, e come si fa con quelli
oppressi oggi. Uno stadio da “richtige Fussball”, come ha detto un collega
piuttosto estasiato, rimasto quasi intatto ai bordi di una campagna e che ha
accolto lo squadrone dello Young Boys opponendogli un debole ma commovente
Winterthur. Su un prato smeraldino e profumato.
Forse l’orologio a cucù non aveva ancora cominciato i suoi
passi lenti che i Leoni avevano già ruggito con il gol dell’effimero vantaggio,
e con loro ha ruggito tutto lo zoo. Poi hanno bramito solo gli Orsi bernesi, ma
tutti hanno applaudito tutti a scena aperta, anche un punteggio da valanga che
assomigliava a un tiro federale allo stand e che per poco non ha mandato in
confusione gli addetti all’orologio.
Ma che importa vincere o perdere? Importava a qualcuno,
certo, all’irriducibile Ramizi che ha portato il suo numero otto bianco in
campo rosso per chilometri vani. Importava anche all’YB, detronizzato l’anno
scorso e già fuori dall’Europa in questa dolce stagione.
Ma stare lì in una domenica di sole e nuvole bianche
importava a me e sarebbe piaciuto ancora a mio padre, che mi ha fatto compagnia
nel piacere di sapori e sguardi rinati, in un tripudio di verde rosso e giallo.