Ed ora
chiamatela “Bellivideo”, la capitale ticinese dell’Uruguay. La truppa
proveniente dal Paese sudamericano è sempre più folta all’ombra dei castelli e
conta attualmente cinque degnissimi esponenti (Romero, Souza, Chacón, Pollero e
Cortelezzi). Tranne quest’ultimo, ancora fermo ai box dopo l’infortunio al
piede sinistro subito il 30 luglio, gli altri si sono messi in luce sabato
nella sfida vinta al Comunale contro il derelitto Neuchâtel Xamax. Un primo
tempo di sofferenza e poi, nella ripresa, ecco il calcio
“corazón&grappamiel” che tanto piace al consulente di mercato estero che
sta investendo parecchio per inseguire il sogno della promozione.
La tattica è
andata un po’ a ramengo e i granata hanno buttato il cuore oltre l’ostacolo per
agguantare i tre punti, lasciandosi così definitivamente alle spalle (si spera)
giorni non facili. Cambiare allenatore può spronare una squadra a fare meglio
oppure può scombussolarla. Diciamo che per 45 minuti si è temuto il peggio.
Tosetti e compagni sembravano anime perse, quasi avessero paura di sbagliare.
Tant’è che dagli spalti, più di un tifoso, ha urlato “sveglia!” all’undici
messo in campo da mister Cocimano (due sue due per lui, dopo la vittoria in
Coppa svizzera). Nella pausa qualcuno deve aver alzato la voce oppure i
giocatori hanno bevuto il mate al posto del classico tè. E la voglia e lo
spirito sono stati ben altri. Nemmeno il rigore sbagliato dall’instancabile
Souza (nella foto Putzu) ha scoraggiato l’ACB. Uno, due, tre. Ribaltati i neocastellani in
mezz’ora.
Evitiamo i
voli pindarici, comunque. Ecco perché. Innanzitutto in quanto, in questa
stagione, i granata ci hanno abituati ad un’alternanza di alti e bassi che non
può essere sottovalutata. Dopo prestazioni convincenti sono arrivate
puntualmente delle legnate sui denti che hanno fatto male, malissimo (e il
povero Sesa, ahinoi, ne sa qualcosa). In secondo luogo lo Xamax non era di
certo l’avversario più probante, non avendo ancora racimolato un punto in sei
partite. Terzo: del nuovo allenatore neanche l’ombra. La dirigenza sa di non
poter più sbagliare, e allora sta spulciando meticolosamente i curricula dei
pretendenti a una panchina che, oramai, scotta ancora prima di sedervisi.
Quale
l’identikit? Conoscere il calcio svizzero, parlare l’italiano, essere un buon
comunicatore e sapersi approcciare con un vulcanico mecenate senza
necessariamente abbassare la testa. Un nome chi scrive l’avrebbe: Uli Forte,
defenestrato a metà agosto dall’Arminia Bielefeld, nella seconda Bundesliga,
dopo appena due mesi. Conosce la Challenge come le sue tasche ed ha ottenuto
due promozioni con il San Gallo e lo Zurigo; con i tigurini ha altresì alzato
la Coppa Svizzera al cielo nel 2016 sconfiggendo il Lugano, bissando il
successo ottenuto tre anni prima con i “cugini” del Grasshoppers. Certo è che
al mister che assumerà il comando dovrà essere dato il tempo necessario per
amalgamare una squadra che, rispetto alla preparazione estiva, oggi è de facto
un’altra. “Siamo un cantiere aperto”, diceva Sesa a metà luglio. La stessa
affermazione potrebbe farla il suo sostituto fra una settimana.
Ma,
soprattutto, nella passionale Bellinzona bisogna riconquistare i tifosi.
Eloquente lo striscione appeso sabato mattina sulla passerella del bagno
pubblico: “L’ACB è della sua gente. Tutti al Comunale”. Alla fine erano in poco
meno di 1.200, nella media delle prime tre partite disputate sul vetusto
rettangolo verde della capitale. “La mia tattica è guardarti, imparare come
sei, amarti come sei. La mia tattica è parlarti e ascoltarti, costruire con le
parole un ponte indistruttibile”, scriveva il compianto poeta uruguaiano Mario
Benedetti. Al club granata ora servono serenità e stabilità. Perché senza di quelle
non si va da nessuna parte, anche se si hanno i milioni.