CALCIO
Allenatori sempre colpevoli?
Sono quelli più esposti alle critiche ma forse bisognerebbe distribuire meglio le responsabilità
Pubblicato il 23.09.2022 14:59
di Silvano Pulga
In tutti gli sport, soprattutto in quelli di squadra, la figura chiave è quella dell'allenatore. Questa figura è la più cercata a livello mediatico: in conferenza stampa i giocatori ruotano, ma il mister c'è sempre. Un'ovvietà: tuttavia, è un dato di fatto che è lui quello che decide chi gioca, quali tattiche usare, chi sostituire nel corso delle partite. Il coach, insomma, è il cuore del gruppo e, secondo una vulgata ormai consolidata, da lui dipendono i risultati. Ma è davvero così? 
C'è un proverbio, nel mondo dello sport: la vittoria ha molti padri, a differenza della sconfitta. Quando si vince, infatti, i meriti si dividono un po' fra tutti; quando si perde, in genere, è il tecnico a pagare il conto. Del resto, basta guardare le polemiche oltreconfine che stanno agitando le acque alla Continassa e ad Appiano Gentile. Ma qualcuno, il giorno dopo Milan-Napoli, ha voluto ricordare come le sostituzione di Simon Kjaer e Davide Calabria (sostituito probabilmente anche per un fastidio muscolare), entrambi ammoniti nella prima frazione, da parte di Stefano Pioli, siano state forse azzardate, visto che è stato inserito Sergino Dest, al debutto. Il caso ha poi voluto che sia stato proprio il giocatore proveniente dal Barcellona a commettere il fallo (piuttosto ingenuo, in effetti) su Khvicha Kvaratskhelia, per il quale è stato concesso il rigore che ha poi spianato la strada ai partenopei per espugnare San Siro. Il tutto per la serie "Non si può mai stare tranquilli, su una panchina". Ndr: i due terzini del Milan, nel primo tempo, si sono fatti entrambi ammonire per falli sul georgiano del Napoli, che li aveva saltati di netto in un paio di duelli individuali. 
Ma veramente è sempre colpa dell'allenatore? Intendiamoci: il ruolo è delicatissimo. In tutti gli sport di squadra, è questa figura il fulcro dello spogliatoio: le decisioni di campo, del resto, spettano a lui. Il tecnico decide, con lo staff, i sistemi di allenamento, parla con i giocatori, in gruppo e singolarmente. Molto del clima dipende da lui: le sue decisioni, il suo carattere incideranno sul ruolo dei leader, del capitano e non solo. Un coach carismatico lascerà poco spazio a queste figure, per esempio. Altri, magari, in pubblico manterranno un profilo basso, provando poi a manipolare qualche elemento di punta dello spogliatoio o, al contrario, si faranno manipolare. La storia dello sport è piena di figure che rispecchiano tutti i caratteri: non sempre i despoti hanno vinto, per dire. Alla fine, come in tutte le cose umane, i vincenti erano quelli che sapevano creare le giuste alchimie all'interno delle rispettive squadre. Però, è un dato di fatto che, ovunque, soprattutto nei momenti di difficoltà, si guarda a lui alla ricerca di soluzioni. E chi non le trova, inevitabilmente, deve cambiare aria. 
In realtà, pur essendo vero che l'allenatore fa tantissimo, difficilmente spettano a lui le scelte strategiche. Puntare sui giovani o sui giocatori esperti, per esempio; creare la squadra per vincere subito, o un progetto a medio termine con giovani da far crescere. In definitiva, le scelte di budget. Vero che i soldi possono essere spesi bene o male; tuttavia, al di là della narrazione prevalente, difficilmente il tecnico può imporre un nome. Quasi sempre suggerisce caratteristiche: spesso, a queste ultime corrisponde un'identità precisa magari, ma tante dirigenze fingono di non capire. Di sicuro, sarà poi l'allenatore a dover plasmare il materiale a lui messo a disposizione, del quale difficilmente si lamenterà in pubblico e con i cronisti, che pure cercheranno in tutti i modi di farlo confessare. Si parlerà allora, quasi per vendetta, di allenatore aziendalista. Che poi, detto tra noi, non c'è niente di male (siamo lavoratori dipendenti da decenni, del resto). Tuttavia, da cronisti sportivi, ci piacerebbe ricevere sempre dichiarazioni forti, si sa: ma è un gioco delle parti, delle quali tutti si è consapevoli, si capisce. 
Però, a pagare in prima persona è sempre l'allenatore. Non sono solo gli addetti ai lavori a bersagliarlo, ma soprattutto i tifosi. Ecco, noi invece crediamo che, a volte, bisognerebbe essere meno indulgenti con la dirigenza. Spetta a quest'ultima decidere le strategie, è lei a scegliere chi far arrivare in squadra, a trovare le alchimie giuste tra i desideri del mister e i vincoli imposti dalla proprietà. Che non sia facile, è fuori di dubbio; ma che alla fine una gran parte dei risultati derivi da questo, è un dato di fatto incontrovertibile, del quale ci si dimentica troppo spesso. Nel calcio, le volte nel quale a mettere la testa sul ceppo sia stato il direttore sportivo al posto dell'allenatore le contiamo sulle dita di una mano: un esempio è Mats Gren, uomo forte del Göteborg (e, ai tempi, vero barometro del calciomercato in Svezia), molto conosciuto anche alle nostre latitudini per aver giocato diversi anni nel Grasshoppers, che si assunse la responsabilità del fallimento sportivo dei Kamraterna, alcuni anni fa. Il ruolo della proprietà è molto più sfumato: ce la si prende, magari, con i cinesi proprietari dell'Inter, ma non leggerete mai di nessun tifoso che addossa alla famiglia Agnelli delle responsabilità per i risultati non proprio esaltanti della Vecchia Signora, in questo inizio di stagione. 
In definitiva, in tutti gli sport, forse bisognerebbe, a volte, analizzare meglio (e responsabilizzare) anche certi ruoli che, a volte, si preferisce ignorare, anche da parte dei tifosi, e non solo degli addetti ai lavori. A fare eccezione, la Formula 1: lì a essere bersaglio dei tifosi ferraristi è soprattutto Mattia Binotto, Team Principal, che vuol dire veramente tutto, e non solo quello che decide di cambiare le gomme al trentasettesimo giro. Non ce la si può prendere con la proprietà, perché i budget, nelle gare automobilistiche a questo livello, sono quasi illimitati: in palio c'è qualcosa di talmente importante che essere citati sui giornali al lunedì mattina, come diceva Henry Ford, è davvero fondamentale, più di tutto il resto. E lì, c'è da dirlo, ci si arrabbia con la persona giusta: insomma, fossimo nel Crus, andremmo sempre in giro con in tasca la pagina delle lettere al direttore di qualche settimanale specializzato di sport motoristici. Così, per leggerselo nei momenti di pausa, mica per farlo vedere a noi in conferenza stampa, si capisce.