RICORRENZA
Il serial killer nasce a San Valentino
Quando la mente oscilla tra senso e non senso
Pubblicato il 14.02.2021 14:15
di Angelo Lungo
Scrive Carl Gustav Jung: “Dentro di noi abbiamo un’Ombra: un tipo molto cattivo, molto povero, che dobbiamo accettare. Conoscere la propria oscurità è il metodo migliore per affrontare le tenebre degli altri”.
Siamo buoni o cattivi? Si nasce buoni e il mondo circostante poi ci induce al male? È una mera questione genetica a determinare la nostra indole? Si tratta di dilemmi atavici, probabilmente irrisolvibili.
In coincidenza con il giorno della festa degli innamorati che ha avuto la sua sublimazione proprio nel mondo anglosassone, ora ammantata di affettazione e sdilinquimento, il 14 febbraio 1991 esce negli Stati Uniti The Silence of the Lambs, un film violento, macabro e dall’atmosfera cupa, che colpisce con forza l’immaginario collettivo. E che fa irrompere sulla scena della cultura popolare la figura del serial killer.
In Italia il titolo è tradotto con la dicitura Il silenzio degli innocenti, preferendolo a quello letterale Silenzio degli Agnelli, potenzialmente troppo potente e imbarazzante.
Protagonista assoluto: Hannibal Lecter. Motivo: la figura del serial killer proposta in guisa nobile e affascinante, ed esaltata da un’interpretazione straordinaria di Anthony Hopkins.
Lo psicopatico a cui viene data la caccia è Buffalo Bill, è caratterizzato in modo amorfo e grottesco, e suscita orrore. Lecter, invece, rinchiuso in un ospedale psichiatrico, viene introdotto come una sorta di oracolo da consultare: perché è capace di scrutare le tenebre, percorrere quei sentieri oscuri che fanno ribrezzo.  Sconta una serie di ergastoli per aver ucciso con efferatezza e creatività, arrivando a divorare le sue vittime. L’aberrazione è che si tratta di un medico, che alla cura sostituiva l’assassinio, seviziando e umiliando le vittime. Eppure non è dipinto come un criminale abietto, un mostro ripugnante. Più che un reietto troglodita: un genio. È brillante, arguto. Forbito nell’eloquio. Gusti raffinati: ama l’arte, il buon cibo e il buon vino. Il personaggio è una rivisitazione moderna del mito vittoriano del vampiro, scevro di elementi soprannaturali. Come con il vampiro c’è un alone di aristocrazia e alterigia, una protervia che li fa sentire soli ma superiori all’uomo comune.
Eppure ha una crepa, a destabilizzarlo non può che essere una donna: Clarice, una detective, interpretata da Jodie Foster. È la giovane fanciulla che lo scuote sentimentalmente, un sussulto che apre uno spiraglio. Clarice non ha una bellezza appariscente, il rapporto tra i due appare protettivo, filiale. È innegabile che ci sia un legame difficilmente decifrabile, ambiguo e irrazionale.
Sostiene Friedrich Nietzsche: “Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te”.