HOCKEY
Suddistanza psicologica o maledizione?
Come spiegare le tante, troppe sconfitte dell'Ambrì nei derbies contro il Lugano?
Pubblicato il 29.09.2022 15:09
di Joe Pieracci
“Dopo ‘sto derby dico basta! Questa è l’ultima volta: butto l’abbonamento e alla Gottardo Arena non mi vedono più”. Questa frase, con declinazioni e sfumature più o meno diverse, l’ho sentita parecchie volte in questi giorni.
E lo sfogo è comprensibile: è chiaro che per i tifosi biancoblu perdere un derby (in casa), per l'ennesima volta, è assolutamente frustrante. Tantopiù che l’Ambrì sembrava in gran forma ed il Lugano in crisi. Una vera beffa. Quasi come se i Leventinesi fossero una sorta di toccasana – o una pillola miracolosa - per la salute dei bianconeri.
E dunque: perché ha perso l’Ambrì Piotta, pur essendo il favorito della vigilia? Tecnicamente la risposta può essere di semplice lettura. Su un fronte il gol in shorthand di Granlund (nella foto Putzu) ed il portiere finlandese Koskinen decisivo con alcune grandi parate. E sull'altro la mancanza di Heed è pesata molto sia nella fase difensiva che nell’impostazione del gioco e nel power play.
Ma non è questo che fa arrabbiare così profondamente i tifosi dell’Ambrì. No. C’è dell’altro. E’ la sudditanza psicologica. E fa si il Lugano spesso entri nei derby pieno di dubbi ed acciacchi e ne esce vittorioso e rigenerato. E l’Ambrì al contrario entri carico a mille e ne esca sconfitto e dubbioso. 
E fosse davvero questo, non sarebbe un gran problema. Perché il rimedio contro la sudditanza psicologica c’è. Basta giocarsela sempre. Tutta. Fino in fondo. In ogni momento del match. Anche quando non si è sicuri di potercela fare. Ed indipendentemente dall'avversario, dalla partita e dal punteggio.
Ma forse non è sudditanza psicologica. Magari c’è dell’altro ancora. Perché gli anni passano. I giocatori, gli allenatori ed i presidenti vanno e vengono. Ma il trend nei derby resta sempre favorevole ai bianconeri. E allora, forse, è una maledizione. E discende dalla finale del 5 aprile 1999, vinta dal Lugano.
Le maledizioni nello sport sono tante. La più famosa è forse quella di Babe Ruth, che dal 1914 al 1920 giocò per i Boston Red Sox, vincendo tre World Series. Nel 1920 Ruth fu ceduto ai New York Yankees che divennero una delle squadre più vincenti di questo sport. L’addio a Boston però non fu indolore e Ruth lanciò un anatema alla sua ex squadra: “Non vincerete mai più le World Series”. 
Così fu per 86 anni. Ma poi la maledizione si spezzò. Nel 2004 Boston vinse in finale contro St. Louis, ripetendosi anche nel 2007, nel 2013 e nel 2018. Perché anche le maledizioni si spezzano. Ci vuole del tempo, ma prima o poi si spezzano. A volte può bastare una sola bella e magica vittoria. 
E in ogni caso l’Ambrì è molto più che vincere o perdere: o ci credi o non ci credi.