Senza sapere come mi sarei sentito se l’avessi fatto io, era
chiaro però che fosse la cosa più importante, il gol. L’anno passato ne hanno
segnati così tanti i miei compagni più grandi e più bravi da vincere il titolo.
Io niente. Quest’anno però sono sicuro che ce la faccio, anche se mi fanno
giocare in difesa e rischio di buttarla nella mia porta invece che nell’altra
(già successo, a Grono). Oggi siamo a Lodrino e c’è questo calcio di punizione
per noi a circa due metri fuori dall’area. Chiedo all’Alfio se posso tirarlo e
anche se siamo ancora sullo zero a zero acconsente, un po’ controvoglia.
Ora, non so bene che pensiero mi pongo mentre colpisco, non
è che uno faccia piani articolati mentre dà un calcio al pallone, c’è solo la
barriera davanti a una porta custodita da un portiere anonimo, un po’ come
negli alberghi di lusso. So solo che la colpisco bene, lo sento dal suono
preciso e morbido; la palla si alza e per un istante temo sia troppo debole per
arrivare di là. Però ce la fa. La vedo spiovere dietro le gambe secche da
adolescenti dei tizi in barriera, il portiere si muove ma la palla cade
nell’angolo basso e solo quando tocca la rete, e tutti già la guardano, succede
questa cosa sconosciuta.
Questa. Dal ventre sale una scossa e la testa mi si riempie
di formiche impazzite, come quando metti un bastone nel formicaio, il resto è
paralizzato da un piacere sconosciuto e languido. Quando torno a muovermi, i
compagni mi stanno abbracciando ed è un peccato perché quel sussulto
incontrollabile è già svanito, torno a ragionare e ho solo voglia di accendermi
una paglia.