Daniel
Pennac è un grande scrittore francese. È un autore di successo
mondiale, specie i suoi romanzi incentrati sulla “tribù dei
Malaussène”. Il protagonista è Benjamin: di professione capro
espiatorio. Ha una straordinaria capacità: compatisce. Svolge il suo
lavoro, in maniera formidabile, prima in un grande magazzino, poi in
un casa editrice. Il suo compito è chiaro: subire le contumelie e
l'ira della clientela. Manifesta, di primo acchito, un'aria da
sconfitto, è così contrito che il cliente desiste dai propositi
bellicosi e polemici. Incede nel pianto, invita, anche, alla violenza
e depotenzia, quasi naturalmente, lo scontro. Lo sminuisce e lo fa
sconfinare nell'inutilità. Questa sua attitudine è lautamente
pagata: poiché unica e preziosa. Deve mantenere una famiglia
allargata a dismisura. Sua madre è una ribelle: è innamorata
dell'amore. Rimane ineluttabilmente incinta e lascia crescere, sempre, a
Benjamin i nascituri. Non è una famiglia classica, ma una comunità.
E le vicende, all'apparenza strane, parlano della vita: ora triste e
ora bella; ora felice e ora infelice. Litigate infinite risolte con
una semplice e affettuosa parola di conforto. Ma sono tutti uniti:
convinti che nessuno possa salvarsi da solo.
Letto
il primo romanzo non si può fare a meno di continuare con gli altri.
Pennac
ha sognato Maradona. El Pibe de Oro: un personaggio che fatalmente
attraversa i tempi; un mito poiché destinato a essere raccontato in
ogni epoca. E ne ha fatto un documentario dal titolo: “Daniel
Pennac: ho visto Maradona”. Spiega: “Immaginate Maradona, un cubo
di muscoli, ma cos'ha di poetico questo cubo di muscoli? Ma se prendi
un pallone e lo lanci, il cubo diventa l'incarnazione della danza,
dell'intelligenza fisica, l'abilità assoluta”. Un fuoriclasse che
ha trasformato lo sport in poesia. Lo scrittore è stato colpito dal
dolore provato da milioni di persone quando l'argentino morì e ha
cercato di capire, lui che di calcio nulla conosceva. La storia è
articolata e rimanda di un calciatore considerato un “oggetto di
consumo”, un perfetto “capro espiatorio”. Adorato e detestato;
nato poverissimo e diventato ricchissimo; amava i bambini e faceva
uso di droghe; seguiva Fidel Castro e a Napoli aveva amici
pericolosi. È un umano: ma unico e speciale. La scelta di una
rappresentazione che verrà proposta anche in forma teatrale non è
casuale: “Il teatro è il miracolo dell'incarnazione. Gli attori
sono dei folli che si giocano la loro esistenza ogni sera, in
un'esposizione assoluta di se stesso”. Maradona secondo Pennac, era un ragazzo che si esponeva del tutto sul campo. Dava un
significato e un'esistenza al calcio stesso, ne rappresentava la sua
poetica incarnazione.
E
chi lo ha potuto ammirare, non può che confermare tale icastica intuizione. E
intristirsi: cotanta genialità rimarrà, purtroppo, inarrivabile.