Era un'altra epoca, era un'altra Milano quella che raccontava
Beppe Viola, del quale ricorrono, in questi giorni, i 40 anni dalla morte,
avvenuta prematuramente (lo fulminò un'emorragia cerebrale, al rientro dopo un
Inter-Napoli a San Siro, il 17 ottobre del 1982, a soli 42 anni). Noi ce lo
ricordiamo cronista sportivo soprattutto, e la memoria non può che andare a
quel memorabile servizio andato in onda dopo il derby del 27 marzo 1977, che
avevamo visto allo stadio, in compagnia di nostro padre. Ancora non lo
sapevamo: ma quella sera, davanti alla televisione, in sala, stava per andare
in onda il servizio più geniale della storia della Domenica sportiva
della Rai. Abbiamo recuperato, in rete, parte del testo: "Quando un
appassionato di musica ritorna a casa deluso da un concerto che tanto
prometteva, per rifarsi le orecchie sistema sul giradischi un pezzo classico:
un espediente, insomma, che provveda ad un immediato riavvicinamento alla cosa
amata. Noi, per rispetto dei 70 mila tifosi milanesi, abbiamo avuto più o meno
la stessa idea, riaprendo l’album dei ricordi. Proponiamo un pezzo di cineteca,
roba buona. È il 24 febbraio 1963; e per rimanere almeno in parte
nell’attualità ricordiamo che era il primo derby di Sandro Mazzola. Lui debuttò
così, con un gol dopo 13 secondi. Dall’altra parte Rivera, che aveva esordito
tre anni prima, era già personaggio, per quei suoi passaggi che poi – più tardi
– qualcuno definì immacolati. Inter e Milan a quei tempi si dividevano coppe e
scudetti, San Siro era chiamata la Scala del calcio e i suoi attori, forse, tra
i migliori del mondo. Chi si ricorda: David, Buffon e Altafini (…) e Mario
Corso detto Mandrake: oggi era in tribuna, trascinato anche lui dalla vecchia
passione e anche lui uno dei 70 mila delusi”. Era
il suo commento al "Derbycidio" (lo chiamò così) andato in
scena, quel pomeriggio, alla Scala del calcio.
Questo era Beppe Viola,
milanese di via Lomellina, che sapevamo anche uomo di grande creatività e
cultura, in coppia con quell'Enzo Jannacci che, in casa nostra, era amatissimo.
Era il periodo del rock milanese: Celentano, Jannacci, Gaber e tanti altri
artisti che popolavano, in vari campi, la cultura di quella che veniva
definita, ai tempi, la Capitale morale. Sono tanti, difficile ricordarli
tutti: a quei tre citati, ci pace aggiungere il cantante dialettale Nanni
Svampa e i suoi Gufi (Lino Patruno, Gianni Magni e Roberto Brivio), il
cabarettista Walter Valdi. Ma come dimenticare artisti del calibro di Dario Fo
e Franca Rame, e non solo loro ovviamente? La citta in bianco e nero era un
crogiolo di proposte artistiche e musicali, a tutti i livelli. Beppe Viola si
metteva seduto al tavolo di una pasticceria dove si era inventato l' “ufficio
facce”, con lo scopo d'indovinare il tifo calcistico attraverso le espressioni
del viso degli sconosciuti che entravano in negozio. Ma era anche autore di
racconti, di canzoni (l'indimenticabile Vincenzina e la fabbrica, un
ritratto struggente della Milano del tempo). Il tutto senza scordare la
celeberrima "Quelli che...", cantata in tante occasioni da
Enzo Jannacci, e resa immortale da una trasmissione in onda per diverse
stagioni sulla televisione italiana.
Beppe Viola,
probabilmente, e anche nei nostri ricordi, era troppo avanti per i suoi tempi,
e in un ambiente dove, per diventare giornalista, all'esame (così la raccontò
lui) dovevi rispondere a domande su dove si poteva collocare Amintore Fanfani
nella corrente di appartenenza della Democrazia Cristiana. Acquistammo, anni
dopo la sua morte, un'antologia dei suoi scritti, che conteneva (tra gli altri)
una lettera indirizzata ai vertici RAI dell'epoca, dove si lamentava
dell'ostracismo che riceveva. Oggi, chissà, lo chiameremmo mobbing: ai tempi,
il cronista concludeva la lettera chiedendo un periodo di congedo per andare nel
Regno Unito "(...) a imparare l'inglese (a mie spese)." Nonostante
l'amarezza, che pervadeva tutto lo scritto, un tocco di genialità anche in
quell'occasione. In quello scritto ufficiale (si definiva anche "Il
recordman di mancata carriera") c'è tutto: vena letteraria,
intelligenza e un tocco d'ironia velata però di amarezza, come la nebbia
meneghina di quegli anni, molto diversa da quella di oggi.
Così come fu geniale
l'ultima domanda della sua carriera posta a Massimo Giacomini, allenatore del
Napoli, uscito indenne dal Meazza in quel grigio pomeriggio meneghino del 17
ottobre 1982: il Napoli aveva raddrizzato, nel finale, una partita
quantomeno compromessa, ispirando al giornalista quella che resterà la sua
ultima battuta televisiva, quando chiese a quello che era stato, poche stagioni
prima, l'allenatore del suo Milan, se il migliore in campo fosse stato San
Gennaro. Ma resta indimenticabile anche l'intervista fatta in tram a Gianni
Rivera, anni prima: attenzione, non su un mezzo riservato, ma su uno in
servizio di linea. Probabilmente, oggi non sarebbe possibile: altro calcio,
altro ambiente, altra Milano. Una Milano che noi ricordiamo con nostalgia:
eravamo giovani, ai tempi, e questo ci fa vedere tutto in un modo diverso.
Ciao, Pepinoeu: se oggi scriviamo di sport, è anche perché, da bambini,
quelli come te ci hanno fatto sognare di fare quel mestiere. Che tu,
che avevi un talento enorme, che ti consentiva di fare molto altro, così
definivi: "Le telecronache servono per mangiare, il resto per vivere."
In coerenza, del resto, con tutto quanto hai fatto in una vita, ahimè,
troppo breve.