Tu stai in panchina senza fare una piega, assumendo un’aria
da Eastwood senza sigaro. Lascia che l’allenatore faccia le sue scelte senza
che tu gli dia la soddisfazione di vedere che te la prendi. Tra l’altro, devi
anche capirli gli allenatori: uomini soli che non giocano più e il cui
confronto è solo con sé stessi, come gli arbitri, come i poliziotti, come i
preti.
Tutte queste categorie chiuse costituiscono delle loro
verità, e ci credono talmente tanto da convincersi che il mondo sia giusto
così, a loro misura. Naturalmente, sono portati al comando imperioso, non si
possono permettere ammutinamenti, e quindi tu stai in panchina, caro Rolando
(nome di fantasia, n.d.r.), muto e imperscrutabile, ti conviene, fidati.
Anche se sei o ti ritieni il migliore, non serve a nulla che
picchi i piedi, sferri pugni all’aria o peggio te ne vai prima della fine della
partita: l’allenatore ti punirà seguendo le sue personali tavole della legge.
Chiaro che se poi gli servissi, tornerà sui suoi passi alla velocità del lampo,
magari chiedendoti di parlare in pubblico su quanto sia bello il rapporto tra
te e lui, che la maglia, che la gloria del club e che qua e che là.
Ricorda anche che i dirigenti, seppur impegnati nel bilancio
e dediti ai tuffi nel deposito di monete, sosterranno l’allenatore fino al suo
licenziamento improvviso e anticipato, permeato di parole luttuose anch’esse in
stile cinematografico, ma dovute.
Stai in panca zitto e muto, dunque, anche se non ti
chiamassi Rolando, anche se quelli che giocano ti sembrassero tutti impediti.
Fai inviperire l’allenatore con la tua imperturbabilità che non si può punire,
e ricorda che anche lui ha dei dubbi, seppur pochi e forse solo relativi al
quattro quattro due e magari non ti conosce neanche bene perché sono solo
vent’anni che sei in giro.