Non c’è ancora
paura, ci mancherebbe altro. C’è però la consapevolezza che il momento è delicato.
Ne ha parlato il
presidente Renzetti (“adesso non sfaldiamoci”) e l’ha ribadito Maric (“è il
momento di restare uniti”).
Si invoca all’unione,
al gruppo, a quella compattezza dentro e fuori dal campo che ha fin qui
contraddistinto il Lugano capace di soffrire e a sprazzi di offrire un buon
calcio.
Purtroppo però,
in un campionato come questo a dieci squadre dotato di un equilibrio forse senza
precedenti, non basta ancora. Ci vuole qualcosa di più.
Qualcosa che
bisognerà assolutamente tirar fuori questa sera contro il Servette, in una
partita che dal punto di vista della fiducia, ancor più che della classifica,
risulta importantissima.
Jacobacci in
conferenza stampa ha ripetuto più volte il concetto “non farò turnover”. È
sembrato quasi infastidito alla domanda (lecita) del giornalista. Il motivo lo
ha rivelato un paio di risposte dopo e in fondo non era così difficile capirlo.
“Quando ho cambiato quattro giocatori mi hanno detto che ho sbagliato a
rivoluzionare la squadra”.
Gira e rigira, a
Jacobacci danno ancora fastidio le parole del presidente Renzetti (e le
critiche dei media in generale), che dopo la partita con il Vaduz aveva detto
che il mister “aveva voluto fare il fenomeno” e che “a metà tempo avrei voluto andare
in panchina a rimettere a posto le cose”.
La sensazione, a
distanza di un paio di settimane, è che il tecnico non abbia ancora completamente
metabolizzato quelle parole. Umanamente ci sta, professionalmente no.
Bisogna guardare
avanti e dimenticare le parole di Renzetti, che sappiamo vive le partite più da
tifoso che da presidente e che ama disquisire di calcio in maniera libera e
leggera.
Parlando di moduli
e di situazioni tattiche, ieri Jacobacci è tornato sulla sua idea di calcio, di
una manovra che nasce dal basso con passaggi veloci e inserimenti dei
trequartisti.
Come raccontava
Patrick Rossini (suo giocatore ai tempi dello Sciaffusa) un paio di giorni or
sono, Jacobacci ha sempre privilegiato un calcio offensivo, in cui si attacca l’avversario
e si gioca in velocità.
Tutto al
contrario, bisogna dirlo, di quel Lugano timido e difensivo che si è visto in
queste ultime partite.
Perché se è giusto
e sensato adattarsi alle caratteristiche dei propri giocatori, può risultare rischioso
e alla lunga logorante, cercare di esprimere un calcio che non ci si sente
addosso.
Ed è a questo punto
che Jacobacci deve fare una scelta coraggiosa. Prima che sia troppo tardi.