CICLISMO
La montagna incantata riappare al Tour
Ci sono generazioni che non hanno mai saputo cosa significhi salire sul Puy de Dôme.
Pubblicato il 31.10.2022 11:35
di Giorgio Genetelli
Mancano ancora nove mesi, una gestazione che però in realtà dura dal 1988 (vittoria di Johnny Carneade Weltz) e ci sono generazioni che non hanno mai saputo cosa significhi salire sul Puy de Dôme. Il Tour de France 2023 ripresenterà questa salita vulcanica che ne aveva fatto la storia ma che la modernità aveva cancellato. Per la sua angustia, non poteva più accogliere il carrozzone mostruoso della Grande Boucle, che tra camion, auto moto, installazioni varie è diventato una città nomade. Ora sì, di nuovo, arrampicanti ciclisti sui 1464 metri di altitudine e la decina di chilometri con pendenze folli, fino a oltre il 20%, senza respiro, senza sconti, per uomini che sfidano più sé stessi che il mondo. Un Mont Ventoux amplificato.
Quando ancora vi si poteva salire in auto (ora non più, la sede stradale è ridotta a causa di un trenino) ricordo le macchine fumanti, generalmente con targhe olandesi e belghe non aduse alle salite, sfiatate ai lati di una strada che ruota attorno alla montagna senza un solo tornante. Il Puy de Dôme si trova in Alvernia, nel Massiccio Centrale, da dove mia nonna a sei anni di età partì sola e ormai orfana alla volta di Claro e da lì costruì la sua vita di ritrosia e comando, e questa cosa mi commuove sempre.
Dalla vetta, la vista corre a perdifiato su una terra di altri vulcani spenti in attesa di esplodere alla vista dei vari Pogacar e Vingegaard. Lo vedremo solo su monitor e televisione, ma quel giorno occorre prenotarsi e rimandare matrimoni e funerali al grido di: Peta, non ci sono!