In ricordo di un campione di un’altra epoca
Né triste né solitario né finale
Difensore in campo, attaccante nella vita
Pubblicato il 22.02.2021 11:08
di Angelo Lungo
Permane il mistero perché il calcio sia così popolare. Un gioco dove si utilizza un oggetto sferico un tempo fatto di cuoio ora di materiale sintetico. Le ragioni del successo sono misteriose e forse rimandano a quando si era dei ragazzi e rincorrere e calciare una palla rappresentava sognare l’impossibile.
Rotola incessante il pallone e racconta storie di calciatori, quasi sempre di chi ha cominciato a giocare per piacere in una strada magari sterrata e poi si è ritrovato a calcare il prato di grandi stadi. Arriva il denaro, il successo, la fama e un precoce invecchiamento sulla soglia dei trent’anni.
Spiega Jorge Valdano: “Il giocatore è un attore obbligato a recitare un’opera sconosciuta davanti a un avversario che fa di tutto per impedirglielo”.
Ma come in tutte le cose della vita, il futuro è arrivato veloce e tutto è cambiato. L’arrivo prima della televisione a pagamento e poi dei social ha coinciso con un profluvio di filmati e informazioni. Il calciatore è assurto a icona pop alla stregua di cantanti e attori. È esistito un tempo in cui il football era immaginato e raccontato. Era il radiocronista che commentava le partite, era il giornalista dei quotidiani che raccontava, con dovizia, di gesta che potevano solo essere pensate.
Era il calcio di Mauro Bellugi, di professione stopper quelli che dovevano marcare il centravanti a uomo.
Giovanissimo arrivò all’Inter dove vinse lo scudetto del 1970-71. Nel 1974 fu ceduto al Bologna ed ebbe la possibilità di completarsi come giocatore. Passò poi al Napoli e infine alla Pistoiese dove concluse la sua carriera. Faceva parte in pianta stabile della Nazionale italiana, convocato per i Mondiali tedeschi del 1974 dove però non disputò nessun incontro, diventò poi titolare, giocò nel Mondiale argentino del 1978 quasi tutte le partite dell’Italia.
Eppure di lui si tende solo a ricordare che era presente alla famosa “partita della lattina”. 
Ottobre del 1971, l’Inter di Mazzola, Facchetti e Corso, incontrava per il secondo turno della Coppa dei Campioni il Borussia Mönchengladbach, risultato: 7-1 per i tedeschi. Sennonché sul 2-1, Boninsegna cadde al suolo, colpito da una lattina, successe il finimondo. Il giorno dopo si scatenò una battaglia legale ed entrò in campo l’avvocato Giuseppe Prisco. Partita annullata. L’andata si giocò a San Siro,  il ritorno a Berlino. A Milano l’Inter si impose per 4-2 e il primo gol lo segnò proprio Mauro Bellugi.
All’improvviso la carriera dello stopper riprese, come opinionista presso una televisione milanese seguiva le partite della Beneamata. E che scoperta: commentatore garbato mai sopra le righe, competente e soprattutto ironico, sempre sorridente.
Forse Bellugi aveva capito che l’unico senso della vita è quello dell’umorismo e anche nella fase finale della sua esistenza ha voluto trasmettere pacatezza e serenità.
E proprio vero certi “stopper” non nascono più, sono tutti dei normali “centrali”.