QATAR 2022
Non siamo ancora la... Croazia
Nemmeno quattro milioni di abitanti ma risultati strabilianti sul campo
Pubblicato il 10.12.2022 07:29
di Silvano Pulga
Un piccolo Paese europeo, abitato da pochi milioni (meno di quattro) di persone, che ha nel turismo un'entrata importante. Un movimento calcistico di grande tradizione, ma attualmente di secondo livello, come club, visto che a fatica gli stessi riescono a qualificarsi per la fase a gironi delle varie competizioni internazionali, dove comunque si devono inchinare davanti ai più forti e ricchi. Un campionato di Serie A a dieci squadre, con girone d'andata e ritorno, con le compagini che s'incontrano tra loro quattro volte. Ovviamente, non stiamo parlando della Svizzera.
La Croazia, per noi commentatori, sarebbe meglio non esistesse. E, diciamolo, anche molti addetti ai lavori nostrani non legati alla stampa pensano la stessa cosa, secondo noi. Perché ci porta via l'argomento principe di giustificazione dei risultati, lusinghieri ma mai del tutto esaltanti, ottenuti dai ragazzi in maglia rossocrociata: vale a dire il fatto che il Paese sia piccolo, con tutto ciò che ne consegue rispetto ai risultati. Una giustificazione dal vago sapore geopolitico, piuttosto determinista e, quindi, difficilmente confutabile.
Tutto vero. A parte il fatto che, ieri sera, i croati hanno estromesso il Brasile dal Mondiale: con un pizzico di fortuna, sicuramente, e anche grazie alle giocate di alcuni dei loro pezzi migliori, a partire da quel Luka Modrić che, a 37 anni, è ancora in grado di farti giocate sopraffine a una manciata di minuti dal 90'. Avevano visto bene i dirigenti dell'Inter che, nel periodo di vacche grasse, volevano portarlo a Milano alcuni anni fa, quand'era in scadenza di contratto con il Real Madrid, e ancora meglio lui e i dirigenti della squadra madrilena, che si accordarono per farlo rimanere all'ombra del Santiago Bernabeu. Si potrebbe anche parlare di Ivan Perišić, della sua partita di ieri e non solo: ma sappiamo che ci leggono tanti tifosi interisti, e ci fermiamo qua, per non far sgorgare troppo sangue da ferite ancora aperte. Cambiamo bersaglio, allora, e ragioniamo sul fatto che i croati giocano, in fondo, senza un vero centravanti di spessore, proprio come la Nati. Certo, individualmente i valori sono differenti: però, tatticamente, la Croazia ieri ha fatto una partita molto simile a quella fatta dalla Svizzera sempre contro il Brasile, nella fase a gironi. Partita che, probabilmente, andava ripetuta contro il Portogallo: e ci fermiamo qua, perché già vediamo il sangue scorrere da sotto la porta.
Parliamo d'altro, quindi. A chi dice che in Svizzera mancano insegnanti di calcio validi e una struttura adatta a far crescere campioni (non sappiamo come funzioni il calcio giovanile in Croazia, ma non pensiamo esista qualcosa di paragonabile all'Islanda, per dire, con insegnanti di calcio in tutte le scuole medie), noi raccontiamo la storia di Ivan Rakitić. Il centrocampista del Siviglia (lasciato a casa a questo giro), come tutti sanno, è nato in Svizzera ed è (anche) cittadino elvetico. Calcisticamente, e sappiamo anche questo, è cresciuto nel Basilea, dove esordì in prima squadra il 29 settembre 2005, in occasione di una trasferta internazionale in Coppa UEFA contro una compagine bosniaca. Il suo esordio nella nostra Super League risale invece al 15 aprile 2006, contro il Neuchâtel Xamax, anche se si affermò solo nella stagione successiva, quando indossò la maglia rossoblù 33 volte in campionato e 9 in Coppa UEFA. Il bottino fu di 11 reti, non poche per un centrocampista, che gli valsero il premio come miglior giovane del campionato 2006-2007, e al Basilea un bel gruzzolo di franchi (oltre 5 milioni, all'epoca), ottenuti dalla sua cessione ai tedeschi dello Schalke 04. Questi, i fatti, nudi e crudi, ai quali possiamo dare tutte le letture possibili. Gli stessi ci raccontano del prosieguo di carriera di questo giocatore figlio del vivaio calcistico elvetico che, come sappiamo, è stata di livello altissimo. Peccato che, nonostante abbia fatto tutta la trafila nelle giovanili rossocrociate, alla fine abbia scelto di giocare nella nazionale maggiore del proprio Paese d'origine, e non certo perché all'epoca, nel proprio ruolo, fosse chiuso da altri, più forti di lui.
Ecco, la storia di Ivan Rakitić potrebbe essere un punto di partenza per capire, e provare a creare qualcosa di veramente importante qua da noi. Potremmo citare anche la Svezia, che ha una storia sportiva molto, molto simile alla nostra, una popolazione paragonabile (anche se in un territorio più esteso), che ha però vinto in passato qualcosa in più dal punto di vista calcistico sia a livello di club che di nazionale, e soprattutto esprimendo talenti individuali più interessanti, e nel corso di più generazioni.
In definitiva, noi continuiamo a credere che i tempi siano maturi per veder nascere, prima o poi, un fuoriclasse svizzero di livello internazionale, perché le basi sono buone. Devono però cambiare alcune cose, evidentemente: e questa è la scommessa che la dirigenza del nostro calcio deve vincere. Perché l'Ivan Rakitić del futuro decida di giocare per il suo Paese di nascita e di adozione, se dovesse avere un'origine estera, sapendo di avere prospettive interessanti. O per vedere un nuovo Frei (o, perché no, un Regazzoni) fare sfracelli in un grande club di Premier League, per poi portare la sua nazionale a traguardi importanti. Nonostante tutto, noi continuiamo a crederci.