TENNIS
Un anno senza l'arte di Federer, come il mondo senza il sole
Su Huffington Post Davide D'Alessandro ha dedicato questo articolo al campione basilese
Pubblicato il 23.02.2021 11:11
di Davide D'Alessandro
Un anno senza Federer è come il mondo senza il sole, un dolore infinito, ma è anche un prepararsi a due, tre, quattro, dieci anni senza Federer. Vorrei ancora vedere quel gesto divino, quel rovescio, quella volée, quella sublime leggerezza che accompagnava ogni colpo, ma mi è stato detto che tutto finisce, che tutto si spegne, come si spense il cielo di Wimbledon, domenica 14 luglio 2019, sui due match point contro Djokovic.
Avrei desiderato che finisse tutto lì, dopo la vittoria però, che il sipario si chiudesse con uno strappo netto, con una decisione irrevocabile, mettendo da parte sponsor, altre partite e altri sogni, invece una pallina finì di poco fuori, e un’altra, tirata dal serbo, passò Federer, meglio sarebbe scrivere lo trapassò, mentre si avvicinava a rete senza convinzione, così, tanto per buttare il corpo in avanti e vedere come sarebbe andata a finire.
Poi gli acciacchi, gli infortuni, l’intervento, la caduta del tempo che non perdona. Eppure, da Dubai, dove il campione continua ad allenarsi, arrivano le notizie che preparano il ritorno. Quale ritorno? Vedremo. Del resto, è pericoloso dare per vinto un campione. Persino Enzo Biagi, il 31 maggio 1948, cercò di fare il fenomeno e il profeta: “La vecchiaia ha raggiunto Bartali ieri alle 14:20 sul Pordoi”. Ginettaccio aveva appena preso una scoppola in una terribile tappa del Giro, ma il 25 luglio trionfò per la seconda volta, a distanza di dieci anni, al Tour de France. 
In tanti nel corso dei decenni si sono esercitati nello sport più amaro e rischioso del mondo, profetizzare: “Questo è finito, quell’altro non vincerà più, quell’altro ancora è un rudere che cammina”. Il campione li ha quasi sempre sconfitti, tornando a vincere, poiché il campione ha qualcosa in sé di speciale, qualcosa che lo rende appunto campione, diverso, unico, esemplare. Toccherà anche a Federer sconfessare i profeti di sventura? Non so.
Io sono rimasto a Wimbledon, appeso a quei due match point. Il resto è cronaca, dopo che la storia ha scritto le sue pagine e si è messa come in pausa, non sapendo o non capendo se essere ancora storia o un lontano ricordo delle giornate magiche.
La cronaca è quotidiana, tutto macina, non si pone problemi. La storia ha un impegno: non deve rovinarsi, non deve gettare al vento la gloria, sua compagna fedele. Deve salvaguardarla, proteggerla, mai separarla da sé. Non può giocarsela a testa o croce su un campetto di un torneo minore. Per il campione arriva il momento di consegnare tutto alla storia, di consegnarsi alla storia. Per lasciarsi rievocare, riammirare, riapplaudire estasiati da tanta bellezza, per lasciarci piangere ancora su quei due match point, per lasciarci gioire ancora su quei tanti colpi vincenti che un bel dì vedemmo e che forse mai più rivedremo. Forse.
Un anno senza Federer è come il mondo senza il sole, un dolore infinito. Insegui pure, caro campione, un’altra vittoria, sull’erba di Wimbledon o alle Olimpiadi, ma che sia l’ultima, la più bella di tutte. Poi basta.