NeuroMondiali
Dove il mondo del calcio viene capovolto nel giorno della finale
Finale
Pubblicato il 19.12.2022 20:04
di Giorgio Genetelli
Ci poteva essere la folla colorata a parteggiare felice o scornata. Ci poteva essere William Brett Cassidy ripescato alla frontiera messicana per arbitrare con Lord Byron Morena. Catmon e Campì erano pronti dalla notte prima quando, per la prima volta nell’ultimo mese, tutti hanno dormito nell’attesa fanciullesca della finale, così ambita e agognata.
Ci potevano essere le musiche all’entrata in campo delle squadre, le buvette rifornite e svuotate più e più volte. Si attendevano i discorsi magniloquenti della autorità, equidistanti prima, balzanti in groppa al vincitore dopo.
C’è stato invece un mattino stralunato con la riunione delle due squadre in un bosco vicino alla palude, come se ordissero un trattato di sportività per l’evento tanto atteso: la finale dei NeuroMondiali. Nessuno era stato invitato al congresso, erano convenuti solo i Creisc dalle loro montagne e i ragazzini dei Campì dalla loro campagna inurbanizzata. Due squadre meritevoli rappresentanti di vere e proprie minoranze, ma baciate dal talento.
C’è stato un mezzogiorno di vuoto, con il pubblico in attesa, il palco delle autorità con le poltrone imbottite innalzato con tempismo, e la stampa a taccuini spianati.
Ci poteva essere una trionfale rappresentazione sportiva, con il migliore a vincere e lo sconfitto a piangere. Iconografie dello sport da tramandare.
E invece non c’è stato niente.
Sul far della sera, l’infantino, il Secretario, la Sciura e i capitani delle altre squadre già eliminate, hanno visto avanzare dalla palude dei fuochi. Erano le torce di Catmon e Campì che in processione si avvicinavano allo stadio e una volta giunti, si sono fermate nel cerchio e fermando con un cenno la banda che già stava per suonare, hanno affidato le seguenti parole ai due rappresentanti, Ciapalailé e Gabriel Cerruti, che all’unisono hanno scandito in un silenzio sepolcrale le seguenti parole:
“Noi non vogliamo vincitori e sconfitti, non vogliamo adeguarci a un mondo fatto così, che si spezza in due parti opposte che conducono a forme diverse di infelicità e di incomprensione. Non giocheremo la finale, ognuno di noi riconoscerà la vittoria all’avversario, che diventa dunque compagno e paritario, nella gioia e nel dolore. Vincere o perdere è un concetto che rifiutiamo, Catmon e Campì sono amici e se qualcuno non sarà d’accordo, pazienza. È stato bello, ma così è magnifico”.
In un silenzio allucinante, le due squadre se ne sono andate, con la folla che si apriva come i cancelli dell’Eden e il palchetto delle autorità che si autodistruggeva nella perdita di senso. Ormai è tutto.