Per evitare l’accusa di essere vago e impreciso, dirò solo
che Pelé me lo ricordo bene in un solo frangente, il colpo di testa dell’1-0
contro l’Italia nel ’70. In realtà, è un frammento iconico che si è fissato
anche nella mente e nei cuori di chi non l’ha visto. Quindi potrebbe non
valere, nella ricerca ossessiva dell’originalità che ormai ammorba le nostre
vite. E allora dirò che il posto dove vidi quell’istante sospeso nella
leggenda, dentro una diretta che appena pochi mesi prima pareva il delirio di un
visionario, valeva la pena.
Il luogo della rivelazione era il Ristorante Bionda a
Preonzo, che tutti chiamavano Ca’ dal Geni. In quel 21 giugno mi apprestavo a
compiere dieci anni senza nemmeno sapere cosa significasse. Ma il Brasile e
l’Italia sì, mi era chiarissimo da che parte schierarmi, come tutti del resto
dentro a quell’osteria e credo nel mondo intero, Italia a parte (e forse
qualcuno anche lì ebbe dubbi).
Il primo giorno d’estate si intrupparono dunque dentro Ca’
dal Geni, forse attorno alle sei del pomeriggio, o giù di lì (avevano tutti
cenato alle quattro). La tele era appesa al soffitto con robusti bulloni e
pareva di doversi buttare in schiena per vedere qualcosa di quelle immagini
infuocate dalla tecnica televisiva ancora da affinare. Ricordo il fumo, gli
schiamazzi, le bestemmie e gli apprezzamenti per l’Italia del catenaccio.
Non capivo molto, ma secondo me nessuno era veramente in
grado di capire, e non parliamo di lavagne tattiche, ma della possibilità che
esistesse davvero una danza col pallone come quella dei brasiliani. Mi
emozionava.
Poi quel traversone, lo stacco, il colpo di reni, il gol.
Pelé, numero 10.
E alla fine le riprese dell’immenso stadio Azteca in
subbuglio e Pelé in trionfo sulle spalle dei compagni. Stesso posto e stessa scena
dell’86, con Maradona al posto di Pelé, come a dire che il calcio è degli dèi,
se per caso qualcuno non ne fosse ancora convinto
Mi pare di ricordare che a Ca’ dal Geni qualcuno pianse e in
molti tazzarono, come se avessimo vinto noi. Di certo Pelé io me lo ricordo
così, festeggiato al mio paese come un membro del patriziato, la massima
onoreficenza disponibile.