CALCIO
Pelé l'Immortale
Il rapporto è tra i brasiliani e il loro campione è paragonabile a quello tra i britannici e la regina Elisabetta II
Pubblicato il 04.01.2023 16:21
di Silvano Pulga
Passato ormai qualche giorno dai funerali, si può provare a parlare di Pelé con un po' più di freddezza, lasciando magari in un angolo, per un momento, i sentimenti di noi inguaribili malati di calcio. Chi fosse quest'uomo lo aveva capito, anni fa, Andy Warhol, quando lo fotografò. L'artista statunitense, come ricordiamo, era diventato famoso (tra le altre cose) per la sua celebre frase sui 15 minuti di celebrità che spetterebbero a chiunque; tuttavia, parlando di O Rei, sostenne che la sua fama sarebbe durata non 15 minuti, ma 15 secoli. Non è una cosa da poco, soprattutto perché detta da un americano (come sappiamo, il soccer non va per la maggiore negli USA), vale a dire da una persona che subiva poco il fascino del gesto tecnico, ma che era molto attento, invece, a tutto il contorno. Andrebbe poi considerato il diverso impatto mediatico di quegli anni, dove la rete non esisteva: discorso già fatto per altri personaggi, in ambiti diversi.
Noi malati di calcio abbiamo in mente il giocatore che calciava indifferentemente di destro e sinistro, che vantava anche un'elevazione a quei tempi (con quei metodi d'allenamento, soprattutto) inarrivabile, velocissimo, imprendibile nell'uno contro uno. Resta sempre il dubbio di cos'avrebbe potuto fare in Europa: circolano leggende su contratti già firmati e poi strappati con grandi club del Vecchio continente, si provano a ipotizzare con i computer, a suon di algoritmi, partite contro le grandi squadre dell'epoca. A livello di sfide ufficiali, il nostro ricordo va a quando Pelé incontrò il Milan nell'edizione 1963 della Coppa Intercontinentale, vinta dal suo Santos dopo una partita di spareggio giocata in casa e con arbitraggio ancora oggi molto discusso, analogamente alla sfida di ritorno, dopo che a San Siro i rossoneri avevano demolito gli avversari. Tuttavia, nonostante non ci potrà mai essere unanimità, oggi possiamo dire che sia stato il più grande di sempre.
Va detto: la Seleção è probabilmente la squadra più tifata al mondo, con buona pace di tanti club, come Real Madrid o Manchester United, per fare due nomi celebri, spinti da un marketing intelligente e che sfrutta le attuali potenziali della rete. In Brasile, paese che non ha mai avuto sinora (per dire) un premio Nobel, come scriveva un esperto di cose brasiliane come Carlo Crauti, la squadra in verdeoro è l'armata che scende in campo ogni quattro anni per la difesa dell'orgoglio patrio di un paese che considera il premio al vincitore come una cosa propria, a volte data in prestito ad altri, ma il cui destino è finire per sempre lì, come già avviene per la Coppa Rimet, il trofeo che ha preceduto quello attuale (e che, non è forse un caso, non è stato consegnato alla squadra che lo ha vinto tre volte, vale a dire la Germania, anche se nel 1974 e nel 1990 era ancora solo quella Ovest). Ma vi è anche un Pelé personaggio, e non solo giocatore di calcio.

Se vogliamo fare un paragone, il rapporto tra i brasiliani e il loro campione è paragonabile a quello tra i britannici e la regina Elisabetta II, curiosamente scomparsa anche lei nel 2022: rappresentavano l'unità del paese. Oppure, Napoleone Bonaparte per i francesi, personaggio emblematico, sicuramente più importante dei due sopra citati, alla fine sconfitto, ma che ha portato il nome della Francia per il mondo, attraverso la diffusione dei diritti umani universali nati dalla Rivoluzione del 1789 (discorso complesso questo, come sappiamo, frutto anche della narrazione). Tra l'altro Pelé ha avuto anche, tra i suoi pregi, una sobrietà personale (nonostante una vita privata non sempre lineare, va detto) che non è appartenuta, per esempio, a Maradona, ed è stata un collante per il gigante sudamericano, nazione estremamente complessa. E la morte di Pelé, oggi, per un momento, ha riunito il popolo brasiliano, diviso dopo una campagna elettorale durissima.
Sempre citando Carlo Cauti, il calcio rappresenta, per il Brasile, ciò che questa nazione vorrebbe diventare, a livello di peso geopolitico, ma non riesce a essere. Da sempre, infatti, il gigante sudamericano avrebbe ambizioni da grande potenza, ma non è mai riuscito, per mille ragioni, a diventare tale, nonostante la grande crescita economica in alcuni momenti della propria storia. Questo paese è stato l'unico ad avere avuto un'immigrazione significativa dagli Stati Uniti, che hanno introdotto le chiese protestanti battiste, in contrapposizione alla storica supremazia di quella cattolica. Quest'ultimo aspetto, assieme a quello fondamentale dell'immigrazione, si porta in dote anche rapporti teoricamente privilegiati con l'Italia (lo stesso Bolsonaro aveva le proprie origini nella vicina Penisola) e, perché no, per le stesse ragioni, con il Ticino, che però non sono stati sfruttati dal punto di vista strategico: ma questa è un'altra storia. Di sicuro, il calcio ha surrogato queste ambizioni di potenza che, lungi dall'esplicitarsi in terra e sui mari, si sono invece concretizzate sui campi da gioco. 

Pelé ha incarnato, a modo suo, l'idea di un Brasile dominatore, che andava oltre lo stereotipo del Carnevale e delle belle donne in costume sulla spiaggia di Copacabana. Era nato povero, di colore in un paese che aveva abolito la schiavitù da pochi decenni, rovesciando il futuro di povertà già scritto di milioni di altri neri che lo avevano preceduto, dimostrando che anche loro potevano fare qualcosa di grande per il paese, da sempre dominato economicamente e politicamente dai bianchi. E rimanendo un simbolo, anche in presenza di altri grandi personaggi della cultura e dello spettacolo e campioni di altra etnia (su tutti Ayrton Senna, anche per il tragico destino al quale andò incontro, a Imola, nel 1994), destinati però a rimanere un gradino più sotto.  Da campione inarrivabile divenne poi dirigente sportivo, commentatore sportivo, ministro e tanto altro, simboleggiando lo spirito di un paese dall'età media bassissima, affamato di futuro e ottimista, nonostante la povertà e la violenza delle periferie nelle grandi città. La presenza di Pelé interruppe, in Nigeria nel 1969, durante una tournée, la guerra del Biafra, per citare un episodio emblematico. In conclusione, non è morto solo un giocatore di football, ma un personaggio che è andato molto, molto oltre l'aspetto sportivo, tanto da far rimanere quest'ultimo sullo sfondo. Fausto Coppi, del quale si celebra in questi giorni l'anniversario della morte, vinse meno di Eddy Merckx prima e di Miguel Indurain poi: ma il suo mito vive in una dimensione differente. La stessa di O Rei, per l'appunto. Rimanendo al calcio, Neymar forse batterà il suo record di gol in nazionale: ma, per quanto amato dai connazionali, non potrà mai prendere il posto di Pelé.