Lamberto
Boranga ha da poco compiuto 80 anni. Era un portiere: ha giocato in
Serie A, poi in B e ha anche calcato i campi della C, tra gli anni
Sessanta e Settanta. Ai tempi del calcio degli album, la sua figurina
era tra quelle imperdibili. È stato tra i primi calciatori a
laurearsi: in medicina, professione di dottore che ha praticato tra
ospedale e ambulatorio privato.
Sul
doping nel calcio ha rilasciato una lunga intervista al sito “Open”,
fondato da Enrico Mentana e attualmente diretto da Franco Bechis.
Sull'abuso
di farmaci quando giocava: “Ai nostri tempi si prendevano
pasticchine e pasticcone. Aumentavano la concentrazione, la voglia di
giocare, la spinta per correre. Ma non ricordo di anabolizzanti”.
Sul
Micoren: “Era tra quelli più adoperato. Si tratta di un
analettico respiratorio. Alcuni ne prendevano 10 pasticche tutte
insieme. Un utilizzo smodato può avere effetti nocivi dal punto di
vista epatico e danneggiare il pancreas”.
Sul
ruolo dei medici: “Erano incapaci di tenere sotto controllo la
situazione. E i giocatori percepiti gli effetti positivi ne
prendevano quantità arbitrarie. Ma il reale problema erano i
preparatori atletici, che si aggiravano come dei santoni e si
seguivano le loro indicazioni”.
Sulle
responsabilità delle società:
“Spingevano affinché agli atleti venisse dato “qualcosina”.
Vedevano i ragazzi “spenti” e pretendevano di migliorare le
prestazioni”.
Altri
farmaci: “Ho visto
l'assunzione della creatina che aumenta l'attività muscolare e può
fare lo stesso effetto di un anabolizzante. Poi sono arrivati, negli
anni Ottanta, i corticosteroidi. Attivano parte del fegato e del
pancreas. Somministrati intramuscolo, come capitava, entrano in
circolo in maniera pervasiva”.
La
sua esperienza personale: “Il
Micoren è stato dato anche a me, con soluzioni di cortisone e
aspirina in vena ti rimettevano al mondo. Poi ho preso pasticche di
una sostanza simile all'anfetamina chimica, aumentava la
concentrazione. Mi sono sempre attenuto ai dosaggi. Se fossi stato
sconsiderato, avrei corso dei rischi”.
Sul
confine tra farmacologia e doping:
“Ai miei tempi le rose erano ristrette, si faceva fatica a
sostituire un giocatore fondamentale. Lo si doveva portare in campo.
Oggi credo che i calciatori abbiano una maggior consapevolezza e
mezzi per decidere cosa prendere o meno”.