Calcio
Lamberto Boranga: "Farmaci, il problema erano le dosi".
Le dichiarazioni dell'ex calciatore ma anche medico specializzato
Pubblicato il 24.01.2023 09:00
di A. L.
Lamberto Boranga ha da poco compiuto 80 anni. Era un portiere: ha giocato in Serie A, poi in B e ha anche calcato i campi della C, tra gli anni Sessanta e Settanta. Ai tempi del calcio degli album, la sua figurina era tra quelle imperdibili. È stato tra i primi calciatori a laurearsi: in medicina, professione di dottore che ha praticato tra ospedale e ambulatorio privato.
Sul doping nel calcio ha rilasciato una lunga intervista al sito “Open”, fondato da Enrico Mentana e attualmente diretto da Franco Bechis.
Sull'abuso di farmaci quando giocava: “Ai nostri tempi si prendevano pasticchine e pasticcone. Aumentavano la concentrazione, la voglia di giocare, la spinta per correre. Ma non ricordo di anabolizzanti”.
Sul Micoren: “Era tra quelli più adoperato. Si tratta di un analettico respiratorio. Alcuni ne prendevano 10 pasticche tutte insieme. Un utilizzo smodato può avere effetti nocivi dal punto di vista epatico e danneggiare il pancreas”.
Sul ruolo dei medici: “Erano incapaci di tenere sotto controllo la situazione. E i giocatori percepiti gli effetti positivi ne prendevano quantità arbitrarie. Ma il reale problema erano i preparatori atletici, che si aggiravano come dei santoni e si seguivano le loro indicazioni”.
Sulle responsabilità delle società: “Spingevano affinché agli atleti venisse dato “qualcosina”. Vedevano i ragazzi “spenti” e pretendevano di migliorare le prestazioni”.
Altri farmaci: “Ho visto l'assunzione della creatina che aumenta l'attività muscolare e può fare lo stesso effetto di un anabolizzante. Poi sono arrivati, negli anni Ottanta, i corticosteroidi. Attivano parte del fegato e del pancreas. Somministrati intramuscolo, come capitava, entrano in circolo in maniera pervasiva”.
La sua esperienza personale: “Il Micoren è stato dato anche a me, con soluzioni di cortisone e aspirina in vena ti rimettevano al mondo. Poi ho preso pasticche di una sostanza simile all'anfetamina chimica, aumentava la concentrazione. Mi sono sempre attenuto ai dosaggi. Se fossi stato sconsiderato, avrei corso dei rischi”.
Sul confine tra farmacologia e doping: “Ai miei tempi le rose erano ristrette, si faceva fatica a sostituire un giocatore fondamentale. Lo si doveva portare in campo. Oggi credo che i calciatori abbiano una maggior consapevolezza e mezzi per decidere cosa prendere o meno”.