“Ma, te mi sembra che sei troppo novello in questo lavoro
per sapere che non ho mai parlato del mercato o di strategie o di pensieri in
televisione”. Paolo Duca risponde così al giovane cronista che gli aveva chiesto
se per caso l’Ambrì avesse intenzione di tesserare il portiere Schlegel.
Una variante del “lei non sa chi sono io” per mettere in
riga il “Novello” e non rispondere con chiarezza, neanche si avesse chiesto
informazioni sulla sicurezza nazionale. Un po’ tutta l’intervista ha mostrato
il fastidio del d.s. dell’Ambrì, vai a sapere perché.
Senza star lì a fare paternali, ma se ci fosse stato un
giornalista esperto a fare la domanda dell’anno, Duca non avrebbe potuto usare
l’aggettivo “Novello”. Gli sarebbe venuto “barricato” o “invecchiato”? O si
sarebbe degnato di rispondere con garbo e con la coscienza del suo ruolo? Non
lo sapremo mai fino alla prossima.
Allora parliamo di quello che sappiamo. Il rapporto tra
media e sport è indissolubile e ha fatto le fortune di entrambi i settori.
Televisione, stampa, online, radio hanno tutti contenitori dedicati allo sport,
ai suoi interpreti, ai club, agli eventi, ai tifosi e a tutto ciò che lo
riguarda. Quindi promuovendolo e, nel caso dello sport professionistico,
aumentandone visibilità e attrattività con ricadute di passione, di interesse,
di pubblicità e di sviluppi economici (soldi). Stesso discorso per le pagine
dei giornali cartacei e digitali, tele e radio: vendono di più grazie allo
sport.
E dunque? Dunque ci vuole rispetto e formazione, magari
anche un po’ di cultura non guasterebbe. I giornalisti rispondono a una
deontologia professionale molto articolata e consultabile. Gli sportivi sono
sempre più seguiti nella loro educazione al rapporto con i media. E qui siamo a
Monsieur De Lapalice, all’ovvio. Che, come la ragione, a volte genera mostri e
li vediamo spesso all’opera con interviste tutte uguali e risposte stereotipate,
fastidi e perfino litigi. Tutto fuori luogo, tra ipocrisia e arroganza.
Perché ogni tanto gli sportivi vanno in silenzio-stampa
(vedi AC Bellinzona, vedi HC Lugano, per stare ai casi recenti)? Poiché o sono
offesi (ohibò) o non hanno ancora capito che se stanno muti, il loro non è un
silenzio che colpisce la stampa, ma va a danno degli appassionati che pagano i mezzi
di informazione e le partite, e che vogliono vedere sentire sapere. Lo
capiscono anche i bambini a scuola e in casa.
Oltre il silenzio-stampa e i dispetti, c’è il legittimo
diritto di fare domande giornalistiche, paritario al diritto dell’intervistato
di rispondere come gli pare. Si tratta solo di riconoscere i rispettivi ruoli e
sapere che in quel momento li si rappresentano agli occhi di chi leggerà o
guarderà o ascolterà.
L’intervistatore, prima di essere un “Novello”, è anzitutto
un giornalista che ha fatto il suo lavoro. E dunque, facciamo noi una domanda a
Paolo Duca: con la sua risposta sgarbata è nel ruolo di direttore sportivo o di
“Maleducato”?