La
“Questione meridionale” è una categoria utilizzata per spiegare
il divario tra il Nord e il Sud Italia. Studi di storici, economisti
e pure di sociologi hanno dato differenti interpretazioni. È
acclarato che il Paese è diviso in due, in termini di: Pil pro
capite; condizioni di vita; diritti sociali; libertà civili.
Il
calcio ha confermato questa rottura. L'asse Torino-Milano ha
esercitato un dominio assoluto. Una potente manifestazione di forza,
sotto il profilo economico e sotto quello organizzativo.
Ma
all'improvviso il Campionato sta proponendo una nuova versione di sé: inedita e inaspettata. Tutto è mutato e la rivoluzione sembra
compiuta.
La
Serie A arranca, è un torneo stanco e a tratti stantio. È stato
travolto dai tempi moderni. Vuole vivere di una gloria antica, ma è
debilitata. Gli altri corrono e sono veloci. Lo stesso gioco, fuori
dai confini, non appassiona.
Ma
c'è un'eccezione: il Napoli. La società ha intercettato il
cambiamento, non si è lasciata travolgere, ma lo ha assecondato. Gli
azzurri non sono solo, almeno per il momento, vincenti sul campo, ma
anche nella gestione finanziaria. Conti in ordine: quando hanno
caricato gli ammortamenti, i costi, su un bilancio non hanno operato
acquisti; quando avevano risorse a disposizione, grazie alla vendita
di calciatori, hanno speso. E hanno puntato sullo scouting, dotandosi
di dirigenti competenti e lungimiranti. Una strategia chiara ed
efficace. Un modello da replicare.
Il
Campionato racconta la crisi delle tre grandi. Che dovrebbero
ripensare radicalmente le loro strategie.
Il
mecenatismo è tramontato, finito. De Laurentiis dimostra che un
calcio sostenibile è possibile. E si può essere competitivi anche
in Europa, almeno fino a un certo punto.
Si
potrebbe obiettare che quella attuale è una stagione anomala, le
grandi arrancano in tutta Europa: Bayern, City, Psg, Real non sembrano
esprimere tutte le loro potenzialità. Probabilmente pesa il
Mondiale.
La
storia non è lineare, ma propone rotture e variazioni.
È
imprevedibile, sempre.