CALCIO
Steffen, un ragazzo in difficoltà
Nell'intervista al Cdt il nazionale racconta il suo momento a dir poco complicato
Pubblicato il 15.02.2023 10:33
di Red.
Un’intervista attesa, parole che pesano come macigni. E che fanno capire la situazione che sta vivendo Renato Steffen.
Un giocatore decisamente in difficoltà, che non ha ancora capito l’ambiente Lugano o che forse, non è stato capito. Chissà.
Al Cdt l’attaccante della nazionale, dietro alle dichiarazioni che sorprendono per la loro perentorietà, racconta la sua fragilità, quella di un giocatore che cerca aiuto.
Ha bisogno di un appiglio a cui aggrapparsi, per tornare quello che era e per soddisfare le aspettative di chi l’ha fortemente voluto. In primis il tecnico Croci-Torti.
Steffen non sta benissimo dal punto di vista fisico. È questo il primo aspetto. Il problema al collo dice “è migliorato, ma ho ancora fastidi all’anca. Nel complesso non sto ottimamente”.
Ecco, la prima preoccupazione è legata al suo stato di salute. L’ex Wolfsburg, giocatore che ha bisogno di potersi affidare alle sue qualità fisiche, si sente “incompleto”.
Una situazione che gli fa vivere una sorta di frustrazione e che le parole che seguono spiegano in maniera emblematica.
Non si capisce che ruolo voglia avere all’interno della squadra. O forse sì. Vuole essere un leader e lo dice senza peli sulla lingua: “Avevo scelto una strada per comunicare ma ho capito che non è quella giusta e questo non mi permette di concentrarmi sull’essenziale”.
Cosa significa? Steffen era venuto a Lugano per essere un leader, per far passare il suo verbo, per aiutare il gruppo a crescere. Per il momento non ci è riuscito e anzi, ha dovuto convivere con le critiche, che anche lui riconosce tutto sommato “condivisibili”.
È deluso, in primis con se stesso e poi, senza troppe perifrasi, parla anche dei compagni: “Non si può pretendere che io da solo trascini la squadra alla vittoria, non è così semplice».
Qualcuno lo ha preteso? Qualcuno glielo ha chiesto?
Possibile invece che Steffen si sia messo addosso una pressione che adesso fatica a gestire.
E poi torna a parlare del suo ruolo di leader, come un tarlo che gli arrovella la mente e non lo lascia tranquillo: “Molto ruota attorno ai compagni, se ti accettano per come sei e per ciò che vuoi apportare. E qui c’è una resistenza. Ribadisco: io voglio essere un leader, ma non voglio piegarmi”.
Ecco, a Steffen sembra di non essere stato accettato dal gruppo o almeno, non nel modo che auspicava. E adesso? Come fare per ritrovare l’armonia di gruppo?
Non certo con dichiarazioni come queste: “So di non essere un giocatore facile da gestire. Lo dico apertamente. Col passare degli anni sono in parte diventato più tranquillo, prendo un paio di respiri in più. Ma rimango poco malleabile. Se però chi mi circonda capisce come prendermi, come relazionarsi con me, posso dare davvero tanto. Necessito solo di un po’ di comprensione, in tutti i sensi. Anch’io poi, di tanto in tanto, necessito di aiuto e sostegno. E se mi accorgo che non lo ricevo, beh... divento molto acido».
Parole che vanno analizzate, in maniera approfondita, che parlano di un disagio di un ragazzo, di 31 anni e che ha appena terminato un Mondiale, in chiara difficoltà.
Renato è in cerca di aiuto, disperato, evidente. Per certi versi sorprendente. Ora lo si è capito. E la situazione è tutt’altro che facile. Anzi.
E adesso? L’ambiente è stato avvisato, dall’allenatore alla società, fino ai compagni, tutti hanno capito che Steffen non può essere lasciato solo. Altrimenti rischia di sprofondare nella sua tristezza e non potrà certo essere utile a questa squadra.
Ma una scossa deve arrivare anche da parte sua, deve tirar fuori quel carattere che ne hanno fatto un giocatore da nazionale. Altrimenti sarà difficile raddrizzare una situazione che rischia di compromettersi in maniera definitiva.
E sarebbe veramente un peccato. Per lui e per il club.
La speranza è che questa intervista gli abbia tolto un macigno dallo stomaco e che abbia suscitato l’empatìa dell’ambiente bianconero.
Tra qualche settimane ne riparleremo.