HOCKEY
"Non eravamo pronti", adesso basta!
La giustificazione di Thürkauf dopo la sconfitta di Rapperswil può avere vari significati
Pubblicato il 22.02.2023 10:08
di Fausto Donadelli
 
Questa mattina mi sono imbattuto nell’intervista fatta da Marco Maffioletti a Calvin Thürkauf (fotoPutzu) dopo la sonora sconfitta del Lugano contro il Rapperswil di ieri.
Premesso il buon lavoro di Marco, vorrei attirare la vostra attenzione su queste dichiarazioni e rendervi partecipe del mio pensiero a riguardo.
Partiamo da qui:
“Ogni singolo, io compreso, non eravamo pronti. Il Rapperswil ci ha travolto, noi abbiamo fatto errori e loro ci hanno puniti con freddezza, non siamo riusciti a dettare il gioco, siamo stati passivi. Non possiamo più permetterci di presentare simili prestazioni.”
Non eravamo pronti.
La mia domanda nasce spontanea: è accettabile sentir dire da un giocatore professionista o chiunque altro dello staff tecnico una dichiarazione così?
In realtà si, in alcune circostanze lo si può accettare, proprio per riassumere in poche parole il perché la squadra ha perso una partita piuttosto che un campionato.
Un modo “sbrigativo” per indicare che la squadra non era preparata adeguatamente o che ha incontrato “difficoltà inaspettate”, ovvero oltre la propria aspettativa/preparazione.
In questo caso, il “non eravamo pronti” potrebbe essere visto come una forma di feedback nonché di ammissione di responsabilità e che potrebbe anche essere utilizzata come incentivo per migliorare le prestazioni future.
Il “problema” però è che, correggetemi se sbaglio, questa frase sta diventando una costante.
Ed è qui che focalizzo il mio pensiero, perché nella mia esperienza ho imparato che l’abuso di certe considerazioni potrebbe essere interpretato come una forma di giustificazione per la prestazione non all’altezza delle aspettative di un giocatore o di una squadra, senza però assumersi la responsabilità delle proprie azioni o delle proprie scelte.
Atteggiamento questo che può essere lesivo per la motivazione e la fiducia di tutto il team (e non solo) proprio perché potrebbe essere interpretato come un modo per evitare di confrontarsi con le difficoltà o le sfide che l’intera squadra deve affrontare.
Infine, alla domanda se vi sia o meno È un problema mentale la risposta è stata perentoria:
“Non credo, ribadisco siamo tutti sportivi professionisti”
Come se i giocatori professionisti siano esonerati dalla difficoltà nel gestire i propri stati mentali come lo stress, la pressione, le aspettative o i propri stati emotivi come il nervoso, l’ansia, la depressione, la paura ecc.
In fin dei conti la preparazione mentale ed emotiva può “solamente” incrementare le prestazioni in termini di resistenza, concentrazione, costanza, rendimento e autostima; tutte caratteristiche di cui meglio non avvalersi quando si parla di professionismo.
Parafrasando una pubblicità degli anni ’80 con Renzo Arbore del 1980... "meditate, gente, meditate!"