Sono passati 35 anni dal quel 1.3.1986 ore 22.27 a Davos.
Finale al meglio delle tre partite di play-off con i bianconeri nella
cattedrale dei Grigioni a conquistare il loro primo titolo nazionale. In
precedenza la vittoria in casa a Lugano, poi quella nella pista più bella della
Svizzera e tempio dei campioni in carica.
Ero inviato come radiocronista per Rete International
Campione e l’intera radiocronaca in diretta aveva calamitato sulle onde
dell’emittente campionese molti tifosi senza il biglietto per Davos. Rimasti
dunque a casa a soffrire e a sognare. A Davos oltre tremila tifosi, mezza
Resega spostatasi per non perdere quel primo magico Titolo conquistato da una
squadra di hockey del Sud.
Questa data rimarrà sempre negli annali della società.
Capitano del primo titolo era Beat Kaufmann grande giocatore duttile sia in
difesa che in attacco e plurinazionale svizzero. Oltre al leggendario no.7 che
divenne anche uno dei Presidenti della società, vi erano personaggio importanti
dal calibro di Kent Johansson, autentico mattatore della serata con quattro
reti. I campioni in carica del Davos ad un certo punto in vantaggio per 4-2,
vennero seppelliti con altre 5 reti dei bianconeri rovesciando la situazione
finale sul 7-4.
Ricordo che nel Davos giocavano Soguel, Nethèri un grande Bücher
e fu proprio Jaques Soguel a portare in vantaggio i grigionesi con un tiro non
irresistibile per Didier Andrey.
Subito ci fu la reazione del Lugano con la rete dell’ex.
Jorg Eberle e in seguito da un’ottima regia di Waltin fu Rogger a portare in vantaggio i ticinesi sotto il tripudio dei tremila luganesi presenti.
Di nuovo Serge Soguel ad evitare Andrey in uscita e 2-2; di
Ron Wilson il nuovo vantaggio, seguito dal 4 punto di Marco Müller. Sembrava
finita ma non per quel Lugano e per quel Kanta Johansson che con un diagonale
potentissimo realizzò una rete importantissima, perché subito dopo ancora il
no. 25 mise a segno il pareggio. (4-4). Una rimonta incredibile. Quasi un
sogno.
Da quel momento la mia voce divenne incandescente, euforica
e dopo aver subito il punto del 5-4 ancora con Müller, ci pensava ancora
superstar Kenta con una doppietta a 53 secondi dalla fine a portare in
vantaggio i ragazzi di Geo Mantegazza. Un finale interminabile ma che a 20 secondi
dalla sirena finale a porta vuota Eberle va a siglare la rete della definitiva
sicurezza.
E da quel momento per oltre 20 secondi fino al fischio
finale seppi solo ripetere più volte: Campioni, il Lugano è campione svizzero.
Scene indescrivibili alla fine con i tremila tifosi ad
invadere la pista con la consegna di Renè Fasel a Beat Kaufmann della Coppa di
Campioni Svizzeri. Accanto a lui un Alfio Molina riserva di lusso in quell’anno
al suo ultimo campionato scaturito con quel titolo meritatissimo da tutti, ma
in modo particolare da lui, emblema e icona del Lugano con Johansson e Eberle.
Poi il rientro a Lugano nella tarda notte con una scia di
auto e pullman affrontando il San Bernardino, la discesa nella Capitale con
tanto di fermata e clacsonata interminabile, la salita verso il Ceneri dritti
dritti verso quella Resega straripante di gente in ogni ordine di posto alle
2.30 del mattino 2 marzo.
Un’atmosfera indescrivibile
da brividi che ancora oggi sento pensando a quella partita, la più bella della mia carriera di giornalista
inviato. Indimenticabile per intensità e carica emotiva. Quel primo titolo
sognato da anni divenne realtà grazie al mago svedese John Slettvol e
all’architetto di Figino tale Geo Mantegazza che divenne di fatto un icona
della società.