Ormai quasi non esiste più, nel nostro paese senza pioggia.
Si chiama Arcobaleno, e sotto la sua volta c’è una pentola piena di monete
d’oro. Oppure, se lo si disegna su un foglio, ci si può mettere qualsiasi
regalo. Ha fatto proprio così Fabian Rieder: l’ha disegnato nell’aria del
Wankdorf. Non abbiamo chiesto al fantasista bernese come lo chiami lui
l’arcobaleno, chissà, magari ha antenati leventinesi ed è la Coreisgia do Dreisc,
la cintura del drago. Possiamo immaginare Regeboge in schwyzerdütsch, oppure
osare il rumeno Cucurbeu, per dirne una.
Rieder, da buon centrocampista offensivo al quale si chiede
immaginazione, al suo Regeboge ha messo sotto il Gol, regalo supremo del
calcio, anche quello moderno che ha orrore della poesia e si affida a numeri e
tattiche per domare il pazzo mondo. Ne aveva già segnato uno appena prima,
bellino. Ma non era bastato, il momento ispirato chiedeva altro. E allora, da
fermo, il giovane Fabian ha ricevuto il pallone a cinque metri oltre l’area di
rigore affollatissima di disperati vallesani rossi e gialli bernesi in fregola
da goleada, l’ha fermato e senza un solo passo di rincorsa l’ha colpito di
sinistro. E si è visto il Cucurbeu tracciarsi di colori fino all’angolino della
porta di Lindner, il portiere caduto alla difesa ultima vana, tra gli oh di
meraviglia come canzone della parabola.
È da questi particolari, senza giudicare, che si ammira un
giocatore. Dalla Coreisgia do Dreisc dipinta con i piedi. Poi le pentole d’oro
possono anche non esistere, va bene lo stesso.