Fu
vera gloria? Si chiedeva il poeta. Rimandando ai posteri “l'ardua
sentenza”. Ma il calcio esige risposte immediate e giudizi quasi
quotidiani.
L'esito
degli ottavi della Champions è clamoroso: tra le otto migliori tre
sono italiane.
Ergo
si dovrebbe parlare di rinascita di un movimento, segnalato alle
prese con un crisi sistemica.
Ma
nella realtà non tutto è vero come appare.
Le
istituzioni.
La
Figc è un organismo anchilosato. La dirige, come un Don Abbondio
ossia come vaso di coccio tra vasi di ferro, Gabriele Gravina. Il buon
senso del padre di famiglia si concretizza in una totale mancanza di
coraggio. La sua azione programmatica è chiara: non decidere e
attendere. E si trova alle prese con il caso scottante che vede
coinvolta la Juventus. Tace per non disturbare. Nessuna parola di
responsabilità.
Si
dovrebbe impostare una riforma della giustizia sportiva; si dovrebbe
discutere come controllare in maniera seria i bilanci delle società; si dovrebbe ripensare radicalmente il settore giovanile.
L'orizzonte
dovrebbe essere quello della trasparenza e del rinnovamento.
La
Lega è una somma di interessi individuali che non convergono mai. Le
alleanze si costruiscono e si disfano continuamente. Trionfa “il
particulare”, elaborare un programma condiviso è pura illusione.
In
Lega la rivalità del campo dei club è potenziata.
L'ultimo
terreno di scontro è quello che riguarda i diritti Tv.
Il
campo.
Il
momentaneo successo europeo appartiene unicamente ai club. E non
manifesta nessuna catarsi. Solo per il Napoli si può parlare di
progettualità, dove una dirigenza applica un piano preciso e che
attualmente funziona magnificamente. Ma la sensazione è che non è
destinato a durare. Per quanto tempo si riuscirà a trattenere
Osimhen e Kvaratskhelia?
Inter
e Milan sono squadre in “cerca d'autore”. L'identità fluttua.
Hanno proprietà dai limitati mezzi finanziari e che propagandano
ambizioni.
La
Serie A rimane un campionato di retroguardia. Nessuna novità tattica
rilevante, esprime un gioco sincopato, dove regna lo schema della
“speculazione”. Giovani talenti italiani non ce ne sono e se ci
sono non vengono schierati: in ogni giornata del torneo scendono in
campo solo il 30% di giocatori autoctoni. Gli stranieri più forti si
ritengono di passaggio.
Forse
aveva ragione lo statista che sosteneva: “Il successo non è
definitivo, il fallimento non è fatale: ciò che conta davvero è il
coraggio di andare avanti”.