Passano veloci in un mondo che rallenta, i ciclisti. Come
oggi che da Abbiategrasso (Milano superata dalla provincia, poveri bauscia)
andranno a San Remo. Dall’immensa pianura ai faraglioni che guardano il mare,
fino alla città canterina che oltre la corrusca fissità del festival ritroverà
la polvere della civiltà a due ruote e catena motrice, ma umana. Quanto
pedalarono Costante e Sante, da Novi ligure ultimo avamposto di Piemonte, fino
alla gloria uno (sei vittorie in questa gara), a Ventotene l’altro (trentadue
anni di prigione). Quanti alberi abitò Cosimo, nella sua eterna opposizione
raccontataci da Italo. Quanti bambini ticinesi un tantino spaesati accolsero le
colonie marine, in un mare dilagato dalle cartoline.
È tutta una storia di ribelli e fuoriusciti, di fratelli che
guardano il mondo e il mondo stavolta ti guarda, questa lingua di trecento
chilometri, che a enumerarli non si riesce. Ma c’è sempre qualcuno che insorge al
destino e la tenta da lontanissimo quando i dislivelli sono di tre millimetri,
anche se non funziona mai, mai; qualcun altro scappa come un contrabbandiere
sotto la ramina, magari appena passato il Turchino e tutto precipita nella luce
del mare, Ciao more ciao. Ma è una Creuza de mä a sancire, Capo Mele o Berta,
Cervo, Cipressa, Poggio. Chi resta indietro lì è un burfaldino, il lungomare
Calvino andrà bene ormai solo per un bianco al tramonto e via Roma sarà una
strada che non condurrà a niente, non alla vittoria, cioè. Perché a vincere è
solo uno e la gloria è tutto. Agli altri gli applausi di Costante, Sante,
Italo, Cosimo, Fabrizio, Luigi, Ivano, e magari anche solo Nilla Pizzi o i
Jalisse, non pochissimo. A saperli cogliere.