Musica
La cura secondo Battiato
Il 23 marzo del 1945 nasceva un grande musicista e non solo
Pubblicato il 23.03.2023 06:14
di Angelo Lungo
L'aforista Enzo Raffaele scrive: “L'unico senso della vita è il senso dell''umorismo”. Lapidario, provocatorio ma non sardonico.
Sosteneva Umberto Eco che: “Non riuscire a capire completamente è la più grande lezione della filosofia”.
Groucho, l'assistente fedele di Dylan Dog, nell'albo “La Zona del crepuscolo”, si domanda: “È filosofia? Metafisica? Se metà è fisica, l'altra metà com'è?”.
Franco Battiato apparve all'improvviso agli inizi degli anni Settanta. Voce mite e testi complicati. Nel 1979 firmò un contratto con la Emi e pubblicò “L'era del cinghiale bianco”. Decise di entrare nel mondo della “musica leggera”. Certo erano canzoncine, motivi orecchiabili.
Il pensiero era quello di parlare di illusioni, di superficialità e ipocrisia.
E poi continuare l'esplorazione. Concupito il pubblico, riuniti ascoltatori colti e meno, ecco l'indicazione di percorrere la strada dell'introspezione.
Non solo un cantautore ma un ricercatore di senso, attraverso la metafisica, l'esoterismo e la filosofia orientale.
E nel brano “La cura” che tratta un tema fondamentale: come può l'umano conciliare la sua parte spirituale e quella materiale.
È solo all'apparenza un dialogo. È l'anima che invita il corpo ad ascoltare.
Il tempo dell'esistenza è fatto di “paure”, di “ipocondrie”, di “ingiustizie”, di “inganni” e di “tradimenti”. Gravami e pesi che si possono non solo sopportare, ma dai quali si può guarire.
In che modo? Educandosi interiormente e cercando di conoscere se stessi nel profondo.
Lo spirito deve essere seguito, è la luce che guida il destino.
Il siciliano non intendeva veicolare significati misteriosi o incomprensibili.
Non voleva essere un dissacratore o un iconoclasta.
Era un sensibile al “soffio”, in guisa raffinata e delicata rilevava che il “quotidiano” può essere affrontato senza essere travolti.
Come?
Imparando a riflettere e cercando di percepire la parte più vera di noi stessi.
Ma non affermandosi come dei solipsisti, ma andando incontro all'altro: “E ti vengo a cercare, anche solo per vederti o parlare, perché ho bisogno della tua presenza, per capire meglio la tua essenza”.