Quella maledetta notte di
febbraio del 2003 Marzo Morocutti, capitano e bandiera dell’ACB, fu vittima di
un incidente della circolazione che gli costò la vita nel Liechtenstein. Anche
nel Vaduz il bomber granata era riuscito ad esaltare le sue capacità di
goleador. Si era affacciato al calcio del Principato con grande umiltà e
riservatezza. Un calcio vissuto intensamente, con la valigia sempre pronta
dietro l’uscio di casa. Un calcio che da “gioco” era diventato negli anni il
suo lavoro. Sfogare la sua passione per “il gioco più bello del mondo” lo divertiva.
Ovunque giocasse. Il Bellinzona ha voluto ricordare questo suo “beniamino” nel
‘suo’ di uno stadio, quel Comunale dove ha segnato un sacco di gol. Lo ha ricordato,
a distanza di 20 anni dalla sua scomparsa, con una sobria cerimonia alla quale
hanno partecipato anche il capitano granata di ieri Angelo Raso e quello di
oggi Dragan Mihajlovic. È stata dedicata a Morocutti la maglia per eccellenza
del centravanti, “sua” per sempre (mai più assegnata), quella con il numero 9 che
ha indossato a lungo e in tempi diversi. Un ‘dono’ speciale, molto gradito. Maglia
che l’ACB ha offerto ai suoi familiari in occasione della partita di campionato
con lo Stade Lausanne (esibita con fierezza dal presidente Paolo Righetti e
Sonia, sorella del giocatore, nella nostra foto). Da come ci aveva parlato,
l’ultima volta nel 1999 da neo-padre felicissimo, Marzio sarebbe voluto
diventare la ‘bandiera’ del Bellinzona. La bandiera vivente, quella di cui si possono
innamorare soltanto giocatori come lui. Siamo sinceri, “zio Marzio” l’aveva
sognata sin da bambino, la “maglia granata”. Ne andava orgoglioso!
Kubilay Turkylmaz ci ha
giocato assieme, lo ricorda con queste affettuose ed appropriate parole:
“Quando sono tornato nel Bellinzona nel 2000 avevo due ‘fratelli’ piccoli: uno era Marzio, l’altro Manuel (Rivera). Marzio era una persona eccezionale, non potevi non volergli bene. Un giovane di grande carattere, un giocatore che neanche credeva nelle sue qualità, eppure ne aveva tantissime. Era un po’ il ragazzo di paese, sempre a disposizione di tutti, in tutto quello che faceva ci metteva un grande cuore. Sul campo aveva le caratteristiche tipiche del bomber, tempestivo nelle occasioni propizie. Trovava il gol facilmente, faceva cose che non ti aspettavi. Era istintivo, i suoi gol strabiliavano il pubblico”.
“Quando sono tornato nel Bellinzona nel 2000 avevo due ‘fratelli’ piccoli: uno era Marzio, l’altro Manuel (Rivera). Marzio era una persona eccezionale, non potevi non volergli bene. Un giovane di grande carattere, un giocatore che neanche credeva nelle sue qualità, eppure ne aveva tantissime. Era un po’ il ragazzo di paese, sempre a disposizione di tutti, in tutto quello che faceva ci metteva un grande cuore. Sul campo aveva le caratteristiche tipiche del bomber, tempestivo nelle occasioni propizie. Trovava il gol facilmente, faceva cose che non ti aspettavi. Era istintivo, i suoi gol strabiliavano il pubblico”.