CALCIO
Lugano che gioia!
I bianconeri vanno ancora in finale: Servette battuto ai calci di rigori
Pubblicato il 05.04.2023 21:48
di L.S.
Una gioia infinita, pazza, incontenibile.
Il rigore di capitan Sabbatini infilato nel sette, dove nessuno ci sarebbe potuto arrivare, scrive un altro capitolo della storia di questo Lugano. Il Lugano di Joe Mansueto, che al suo secondo anno, centra la seconda finale. Incredibile ma vero!
Ci voleva una partita da veri gladiatori, da grandi uomini, come aveva chiesto il Crus nel prepartita. E così è stato.
Una mezz’ora di sofferenza, lo svantaggio e poi la doppietta di uno strepitoso Aliseda.
Nella ripresa il gol sbagliato da Steffen, che sembrava il preludio di qualcosa di brutto, capitato poi al minuto 94’, con quel gol di Crivelli nato probabilmente da un fallo di Atouati su Daprelà. Il VAR muto, la Praille che esplode.
È una beffa crudele, figlia anche di quei tre cartellini gialli presi per perdita di tempo che avranno risvegliato chissà quale Karma. Ma perché questa tattica suicida? Qualcuno un giorno ce lo dovrà spiegare.
Si va ai supplementari con la morte nel cuore, tirando capocciate contro il muro, con il timore che si possa uscire dopo una partita che il Lugano sembrava aver vinto.
Non succede nulla, a parte un intervento felino di Osigwe e un secondo giallo non dato a Atouati.
Fedayi San fischia la fine, si va a rigori. Il Crus voleva far entrare Espinoza e Babic, ma non è riuscito a fare i cambi. Meglio così verrebbe da dire. Qualcuno ha guardato giù.
Mbabu, disastroso in partita e co-responsabile dei due gol subiti dal Servette, non centra nemmeno la porta. Gli altri segnano tutti. Anche Bottani, che non calciava un rigore dal lontano 2016, quando sbagliò in finale contro lo Zurigo. Ma soprattutto capitan Sabbatini, che nelle immagini televisive prima del rigore, a qualche milanista avrà ricordato quel Shevchenko che diede la Champions alla squadra di Ancelotti.
Il capitano non trema, tira una bomba all’incrocio dei pali e nella sua corsa intrisa di gioia c’è spazio per la commozione. Quella vera, quella di chi arriva dal basso ed è riconoscente per quello che ha ottenuto.
Sì, capitano, sei ancora in finale, per la terza volta in sette anni. Si ragazzi, siete in finale per la seconda volta in due anni.
Non è un miracolo, è soltanto il giusto premio per un duro lavoro di una società che ha scelto l’allenatore perfetto e ha creato un gruppo affiatato e vincente.
E adesso tutti a Berna, contro la squadra più forte e sul suo campo. Addirittura sintetico.
Sarà difficile, quasi impossibile verrebbe da dire, ma per questa squadra questa parola non esiste. E allora chissà che il 4 giugno non ci regali un altro capolavoro in bianconero.
Intanto godiamo e festeggiamo.