C'era una volta il Torneo di
Bellinzona e per fortuna di noi romantici c'è ancora. Sì, perché
questa manifestazione è permeata di una magia senza tempo, come
titolava un mio vecchio albo di Zagor, ormai dalle pagine ingiallite
e stropicciate. Dall'alto, o dal basso, dei miei 44 anni,
permettetemi cari lettori di fare un tuffo nel passato, rovistando
tra i ricordi che mi legano indissolubilmente alla competizione nata
all'ombra dei Castelli e tuttora viva. Mi sembra ancora di
intravvedere quei momenti, coi contorni sfumati degni del Robert De
Niro trasognato nella fumeria d'oppio di "C'era una volta in
America". Ricordo ancora quella giovanile allegria, che
trasudava da Bodio a Chiasso (dal momento che il Torneo, si sa, non
si gioca solo nella Capitale) mentre il rumore della carta delle uova
di Pasqua che si lacerava sotto le mani di eccitati bambini faceva da
pittoresco e metaforico sottofondo. I loro occhi sgranati tipo
Schillaci a Italia '90 erano i nostri, quelli di giornalisti alle
prime armi che venivamo spediti a farci le ossa sui campetti di
provincia. Per questo devo ringraziare l'allora caporedattore dello
sport del Corriere del Ticino Tarcisio Bullo e l'attuale
direttore dell'Eco dello sport Luca Sciarini: ho potuto
crescere vergando le gesta dei campioni di domani o presunti tali. Ho
respirato quell'aria magica, che ha corroborato i miei polmoni
calcistici e incontrato e intervistato gente che da piccolo, assieme
a mio fratello, appiccicavo sull'album delle figurine. Penso allo
stopperone del miracoloso Verona campione d'Italia nel 1985, al
secolo Silvano Fontolan. Ho potuto narrare le gesta del Paris-Saint
Germain baby (mica quello degli sceicchi) che si regalò undici metri
di felicità contro l'Inter o del mitico River Plate che schiantò in
finale una promettente Reggina, annegandola in un fiume di gioia. Poi
sono arrivati i botti nostrani, rappresentati dagli exploit del Team
Ticino: io nel frattempo ero ormai diventato un redattore dirottato
sui dorati campi dell'alta Challenge League e della Super. Mi ero
fatto giornalisticamente grande, insomma, ma ho continuato a seguire
da lontano, diciamo così, il Torneo e le sue gesta, che ne fanno
quasi una versione moderna della commedia dell'arte, sempre in chiave
calcistica. La sua magia mi perseguita simpaticamente anche oggi.
Proprio l'altro giorno, mentre ero in tutt'altre faccende
affaccendato, ho infatti realizzato che eravamo ormai giunti a Pasqua
e ho sentito qualcosa nell'occhio: mi era entrato un ricordo.
Bellissimo e al tempo stesso struggente. E ho ripensato a quando
scarrozzavo l'amico e collega Mauro Antonini per le strade del
Cantone, con la mia auto sgangherata, dribblando metaforici conigli
di cioccolata. Torneo di Bellinzona, chiamami inguaribile romantico,
ma ti ho tanto amato e ti amo tuttora, oh straordinaria fabbrica di
emozioni.
Calcio
Torneo di Bellinzona, una magia senza tempo
Ricordi nostalgici di un giovane vecchio cronista