In
campionato la crisi dell'Inter è inesorabile e ineluttabile. Le sue
cadute non sono mai normali, sconfinano nel melodramma. I numeri non
ammettono repliche: 11 sconfitte stagionali, ultime 3 partite in casa
perse.
L'attacco
sulla carta dovrebbe fare la differenza ma Lautaro non segna dal 5
marzo; Dzeko dal 18 gennaio; Correa dal 29 ottobre; Lukaku su azione
è andato in gol solo alla prima giornata. La squadra è lenta, il
suo gioco è sterile, la manovra si sviluppa prevedibile. Il mister
non cambia mai tattica, è un ortodosso, è fedele alla sua linea, è un oltranzista del modulo. E
puntuale arriva l'errore. Le responsabilità di Inzaghi sono
evidenti, ma è specioso e riduttivo individuare nel piacentino “il
colpevole”.
La
crisi dei nerazzurri è societaria ed è profonda. Il club è in
vendita, ma di fatto non ci sono acquirenti o meglio nessuno è
disposto a mettere sul piatto la cifra, oltre un miliardo di euro,
che Zhang vorrebbe incassare. La potenza economica dei cinesi è
scomparsa, evaporata. L'Inter perde circa 10 milioni di euro al mese,
ha un debito di 400 milioni con una scadenza pluriennale, ma entro il
2024 deve restituire oltre 300 milioni a un fondo americano, per
quest'ultimo prestito in pegno c'è la società stessa. Un eventuale
acquirente dovrebbe pagare Zhang; aumentare il patrimonio netto;
avere i mezzi per sostenere una stagione intera con due campagne di
calcio mercato. L'investimento dovrebbe aggirarsi sui 2 miliardi.
Passa il tempo e Zhang dovrà limare al ribasso le sue richieste. La
programmazione nel medio ma anche nel breve periodo è impossibile.
Si gestisce un'emergenza continua. Paradossalmente per la società è
vitale arrivare tra i primi 4, l'avanzata in Coppa è un dettaglio.
Non partecipare alla prossima Champions sarebbe un danno economico,
che pregiudicherebbe le ambizioni della prossima annata. Marotta e
Ausilio sono dei meri esecutori, hanno poco spazio d'azione e le loro
ultime mosse le hanno pure sbagliate. L'Inter dovrebbe finire, prima
o poi, in mani americane o arabe.
E
al tifoso della Beneamata non resta che struggersi, precipitare nel
burrone dell'esistenzialismo, e parafrasando il poeta domare “lo
spirto guerrier ch'entro rugge”. Ci sarà un domani, forse.