Calcio
Il bello del calcio, Ancelotti contro Guardiola
Si sfidano due grandissimi allenatori, due autentici personaggi
Pubblicato il 09.05.2023 07:02
di Angelo Lungo
È di nuovo Real contro City, ancora in semifinale. L'anno scorso fu uno scontro drammatico, nel senso sportivo, che si risolse solo nei minuti finali. L'opinione corrente dei media è, quasi, unanime, chi vincerà: diventa la favorita d'obbligo per alzare al cielo la Coppa dalle grandi orecchie. In campo si affronteranno grandi giocatori, ma i veri protagonisti della contesa sono i due allenatori: uno spagnolo e un italiano.
Guardiola appare fatalista: “Non siamo qui per una rivincita, è solo una nuova opportunità per raggiungere la finale e vincere il trofeo”.
Ancelotti sembra gattopardesco: “Se difendi bene, il peggio che può arrivare è il pareggio, ma questo non vuol dire che non attaccheremo”.
Lo spagnolo è indiscutibilmente un innovatore, non è un conservatore: è capace di imporre la sua cifra stilistica. È un visionario, convinto che il collettivo debba essere unito e compatto, assertore che la sconfitta fa male davvero ma che fortifica e che bisogna festeggiare con moderazione. Esalta il calcio che richiede coraggio e fantasia, disciplina e capacità di assumersi le proprie responsabilità. Predilige: possesso palla e gioco veloce, ritmi alti e manovra avvolgente, i giocatori devono avere tecnica e lucidità nelle decisioni. E non propone i medesimi schemi: li mette in discussione e li stravolge. Si evolve: prima ha fatto scomparire il centravanti, poi lo ha rimesso all'improvviso al centro del suo gioco. Il suo mantra è: passione e movimento.
L'italiano è uno dei più grandi in circolazione. Le partite decisive per lui non hanno segreti, la Champions non lo destabilizza, riesce a mantenersi saldo. Rispetto ai suoi connazionali è flemmatico e impassibile, non si scompone, non gesticola e pare non dia mai segni di nervosismo. È un normale capace di diventare unico. Le sue rivoluzioni sono silenziose e sottovalutate. La sua forza è la versatilità, non si adatta ai tempi, li studia, li analizza e li smonta. Non è né un conservatore né un innovatore. La sua impronta tattica è chiara: il modulo è secondario, non è un integralista, ma adotta un sistema modellato sulle caratteristiche dei giocatori. È un freddo: il caso non lo destabilizza, lo neutralizza e poi procede spedito. Il trucco non è complicato: le partite vanno indirizzate, seguendo lo spirito che aleggia su di esse, ma si deve essere capaci di sentire.