CALCIO
VAR, è più difficile accettare l'errore
La tecnologia non riesce a porre fine alle polemiche: perché?
Pubblicato il 09.05.2023 17:37
di Silvano Pulga
Se ne sono lette tante sul VAR, in questi giorni. In realtà, lo strumento, al quale il nostro Giorgio Genetelli ha dato dignità di parola, è tale. E, di conseguenza, a essere censurabile è l'uso che ne fa l'uomo. Premessa: il gioco è aleatorio, da sempre. E l'arbitro ne fa parte. Il resto è conseguenza. Però, l'errore di un giocatore sottoporta, di un portiere, una palla sanguinosa persa a centrocampo in un momento della partita delicato sono una cosa, quello dell'arbitro un'altra. Ci sta, ovviamente, quest'ultimo: ma diventa più difficile accettarlo. E la tecnologia nasce proprio per dare una risposta, una soluzione a questo aspetto del gioco che il pubblico tollera di meno. Perché nel calcio vigono le regole generali della geopolitica: anche se molti, chiusi nel loro castello da una visione leaderistica del mondo, sono convinti che certe decisioni siano prese da dirigenti altezzosi, e che siano loro a indirizzare la storia, la realtà è che le scelte strategiche vengono assunte sulla base degli umori della "gente", come cantava De Gregori nella sua celebre canzone "La Storia" (dedicata, ovviamente, a cose più serie della Pedata: ma il concetto è lo stesso). E la "gente", nel calcio, piaccia o no, è quella che pompa nel sistema soldi veri, con tutto ciò che ne consegue. E il sentire comune degli appassionati è sempre stato quello di accettare a fatica che le partite venissero decise, magari, da una scelta arbitrale controversa. Non è un caso, infatti, che la memoria selettiva dei tifosi tenda a ricordare alcuni errori arbitrali e non, magari, la rete fallita sottoporta da un giocatore, avvenuta nella stessa partita: episodio che avrebbe indirizzato la medesima in un certo modo, così come la topica arbitrale.
La dimostrazione di tutto questo? Tempo fa, nella vicina Penisola, su Rai Play è stato riproposto un documentario, dal titolo in romanesco ("Er gol de Turone era bbono"), che racconta la storia di una rete annullata per fuorigioco, al 27° della ripresa, al giocatore romanista Maurizio Turone (ex Milan, tra l'altro), nel corso della sfida decisiva al Comunale di Torino contro la Juventus, il 10 maggio del 1981, della quale molti tra i più giovani non avranno forse mai sentito parlare. Ma non è l'unico: grande cavallo di battaglia dei tifosi interisti è il celebre fallo su Ronaldo da parte dello juventino Iuliano (26 aprile 1998), mentre i milanisti hanno l'imbarazzo della scelta: noi, per esempio, abbiamo nel cuore una rete valida annullata per fuorigioco a Luciano Chiarugi in un Lazio-Milan giocato il 21 aprile del 1973, mentre per tanti altri (di solito più giovani) il gol più assurdo annullato ai rossoneri è quello tolto a Muntari il 25 febbraio del 2012, in un Milan-Juventus. Ma per chi vide, dal vivo, quello tolto a Van Basten nell'interminabile sfida di Belgrado contro la Stella Rossa del 9 novembre 1988 (i tifosi avversari, chissà perché, ricordano solo la nebbia del giorno prima: ma tant'è), quello messo a segno dall'ex giocatore dell'Inter, col pallone tolto dalla porta da Buffon quando aveva già oltrepassato la linea, non è il più clamoroso dei tanti errori arbitrali visti sui campi da calcio in decenni di frequentazione dei medesimi. Nostro padre, per esempio, ci raccontava la storia della finale di ritorno della Coppa Intercontinentale del 1963, tra il Milan e il Santos di Pelé, e relativa "bella" arbitrata da un arbitro argentino, tale Brozzi: altra generazione.
Tutto questo per dire che le polemiche di questa settimana, in Super League, vengono da lontano. E che di arbitri si è sempre parlato: perché immaginare un disegno superiore, addirittura un complotto, identificare nell'errore arbitrale (secondo noi sempre in buonafede, ovviamente: perché sia chiaro, di quella non intendiamo discutere in nessun modo) la causa di una sconfitta è un modo per deresponsabilizzarsi, soprattutto da tifosi (gli addetti ai lavori dovrebbero essere un gradino sopra queste polemiche...) rispetto ai fallimenti sportivi, sovente figli, invece, di prestazioni non all'altezza. E la tecnologia, alla quale alcuni puristi si sono sempre opposti, doveva porre fine alle polemiche per questo motivo. E, di conseguenza, essere qua ancora a consumare fior di byte per commentare decisioni arbitrali sbagliate infastidisce oltremodo, oltre noi che scriviamo, anche chi legge: non per antipatia nei nostri confronti, ovviamente, ma perché si pensava di non dover più tornare sull'argomento. E quindi? Si butta via tutto? 
Assolutamente no, secondo noi. Intendiamoci: non esistono rivoluzioni tecnologiche che cambino la natura umana. Non lo hanno fatto il fuoco, la ruota, le armi da sparo e tanto altro. Eliminare la tecnologia, rinunciare a essa, non ha senso: sarebbe una decisione antistorica. Ma i frutti del progresso contano per come vengono usati. Così come ci è sempre sembrato giusto lasciare all'arbitro di campo la decisione finale e, soprattutto, non consentire alle squadre di poter richiedere, in modo coercitivo, l'utilizzo dell'ausilio delle immagini registrate, come ogni tanto proposto da qualcuno. Perché l'arbitro è una figura dall'autorità intangibile, pena la perdita di credibilità del sistema: guai se il suo ruolo venisse sminuito. Però, se nel secolo scorso l'errore arbitrale poteva essere scusabile, oggi, grazie al supporto tecnologico, lo sta diventando molto meno. Il direttore di gara ha una grande responsabilità, e questo nessuno lo mette in dubbio. Tuttavia, a fronte di una valutazione scorretta, che emerga dalla visione successiva della prova televisiva da parte degli organi giudicanti, deve poter essere messo in grado di riflettere sui propri sbagli con un periodo di sosta, come succede per i giocatori squalificati. Perché l'errore è umano, e anche l'arbitro può incorrervi: ma, quando accade, non si può difendere il direttore di gara oltre il limite della logica e dell'oggettività, fermo restando che quello della buonafede deve restare un paletto invalicabile, per tutti gli attori in gioco. In fondo, a differenza del giocatore che sbaglia un gol, l'ex uomo in nero (ora per fortuna anche donna e in rosso, verde o giallo) è l'unico, in campo, che può ritornare sui propri errori. E, di questo, non si può non tenerne conto.