È
la bellezza del calcio: è una materia opinabile. Tutti ne possono
discutere, è una comunità autenticamente democratica. E sovente le
ragioni si confondono con gli alibi. L'Inter, nella semifinale
d'andata della Champions, ha battuto nettamente il Milan, soprattutto
sul piano del gioco. Ha dato la sensazione di essere una squadra
compatta, che aveva un preciso piano tattico e consapevolezza dei
propri mezzi. I padroni di casa, causa anche gli infortuni, hanno
improvvisato, sono andati alla ricerca dell'episodio. E tuttavia la
spiegazione del risultato può avvenire attraverso un paradosso
basato su: di un'opinione per i rossoneri; un fatto per
i nerazzurri.
Sostiene
Pioli che fino al settimo minuto gli avversari non erano riusciti a
entrare nella loro area, meglio l'Inter nel primo tempo, ripresa a
favore del Milan, ha ritenuto l'arbitro non all'altezza poiché ha
usato “due pesi e due misure”. Ma l'opinione corrente
dell'ambiente rossonero è che: si è perso perché mancava Leao.
Troppo importante e decisiva l'assenza del giovanotto, 23 anni,
portoghese. È considerato uno dei migliori calciatori al mondo.
Capace di decidere una partita. Talento unico: spacca l'inerzia degli
incontri con tecnica e velocità. Timida e impalpabile la prova dei
suoi due coetanei Tonali e Brahim Diaz. E al ritorno tutto è
possibile, c'è ancora speranza, qualora l'attaccante riuscisse a
recuperare.
L'interismo
non ci crede ancora. Aspetta circospetto. Il fatto è che i
protagonisti della semifinale sono stati due atleti navigati ed
esperti: Dzeko che ha 37 anni e Mkhitaryan di 34 anni. Sono figli
dell'austerità imposta dai cinesi all'Inter. È il mercato dei
parametri zero di Marotta e Ausilio. Il bosniaco parte sovente
titolare, è Lukaku che deve subentrare e giostrare per una trentina
di minuti. L'armeno è insostituibile, sono ora Brozovic, ora
Calhanoglu a dover scaldare la panchina. Ebbene sì: Pioli ha bisogno
della gioventù, Inzaghi si affida all'esperienza.