Nei meandri della terza età
Le persone anziane sono una risorsa
Intervista al professor Stefano Cavalli
Pubblicato il 11.03.2021 23:01
di Angelo Lungo
Stefano Cavalli è professore nonché Responsabile del Centro competenze anziani presso la SUPSI. Il Centro si occupa di formazione, documentazione e ricerca sulla realtà degli anziani.
 
Che cosa significa il termine “Anziano”?
“Anziano” è un termine che si riferisce ad una persona in età avanzata. Ma avanzata rispetto a chi e a che cosa? Un calciatore professionista, ad esempio, può essere giudicato anziano anche se ha da poco superato i 30-35 anni. Di regola, nella nostra società, si considerano anziane tutte le persone di 65 anni e oltre, vale a dire che hanno raggiunto l’età di pensionamento ordinaria – dimenticando tra l’altro che l’età dell’AVS per le donne è, ancora, di 64 anni”.
 
Qual è la loro qualità di vita?
“Condizioni e qualità di vita delle persone anziane sono nell’insieme abbastanza buone. Sicuramente migliori rispetto al passato e anche in confronto alle rappresentazioni che abbiamo di questa fascia della popolazione. Detto ciò, non esiste un unico profilo di anziano. Gli anziani sono molto diversi gli uni dagli altri. Basti pensare alle differenze tra un “giovane anziano”, magari appena andato in pensione, e un “grande anziano”, ad esempio una novantenne residente in casa per anziani. Ma anche tra persone della stessa età vi è una grande eterogeneità, al punto che non vi sono altri periodi della vita in cui le disparità tra gli individui – in termini di salute, economiche, relazionali, ecc. – sono così marcate”.
 
Come sarà l’anziano del terzo millennio?
“Nel corso dei lavori preparatori per la nuova pianificazione cantonale delle politiche destinate agli anziani, con la collega Laurie Corna abbiamo descritto le principali trasformazioni che hanno contraddistinto la popolazione anziana negli ultimi decenni, per poi avanzare delle ipotesi sulle caratteristiche degli anziani nel 2030. Nell’insieme, le condizioni di vita degli over 65 residenti in Ticino dovrebbero continuare a migliorare nei prossimi anni. Gli anziani di domani, che apparterranno in gran parte alla generazione del baby boom, avranno un livello di formazione più elevato, beneficeranno di una situazione economica relativamente confortevole, godranno di una salute migliore, saranno ancora più attivi e sempre più connessi, accorderanno una grande importanza a valori quali l’autonomia e la realizzazione personale. Al tempo stesso, avranno meno figli rispetto ai “grandi anziani” di oggi, che sono gli artefici del baby boom, e ci sono dei segnali preoccupanti che vanno nella direzione di un aumento delle disuguaglianze sociali. Ad esempio, le persone meno formate che si avvicinano all’età della pensione sono a rischio di vedere la loro salute degradarsi più rapidamente rispetto a chi le ha precedute”.
 
Una prima analisi dell’impatto della Pandemia su questa fascia d’età.
“Innanzitutto, tante, troppe persone anziane hanno perso la vita a causa del Covid-19. Sappiamo che la maggior parte delle persone decedute avevano più di 80 anni. Ma la pandemia sta avendo degli effetti negativi anche su chi non è stato contagiato dal virus. L’esortazione a rimanere a casa e la chiusura di molte attività hanno limitato le occasioni di incontro, ridotto le possibilità di praticare sport, impedito di assistere a spettacoli ed eventi culturali. E tutto ciò si ripercuote sulla salute e sul benessere della popolazione. Non poter abbracciare o accudire i nipoti è fonte di sofferenza e contribuisce ad aumentare il sentimento di solitudine. Infine, certe decisioni prese dalle autorità sono state difficili da accettare per chi a 65 anni non si considera né anziano né vulnerabile”.
 
Come deve essere l’approccio degli operatori (assistenti di cura, infermieri) sugli anziani vulnerabili?
“Un approccio che metta al centro il rispetto incondizionato della persona e delle sue volontà, che promuova il suo diritto all’autodeterminazione. Un approccio “bientraitant” direbbero le mie colleghe Luisa Lomazzi, Carla Sargenti e Rita Pezzati, che da anni si occupano della questione. L’operatore deve saper ascoltare la persona anziana e tener conto della sua storia di vita. Deve anche coordinarsi con le altre figure professionali e prestare attenzione al contesto in cui vive l’anziano, la sua rete sociale, i suoi affetti”.
 
Presa a carico: Aiuto domiciliare o Residenza?
“Da diversi anni, in Ticino, si privilegia il mantenimento a domicilio il più a lungo possibile. La maggior parte degli anziani rimane a casa propria grazie all’aiuto domiciliare, ai servizi di appoggio (centri diurni, pasti a domicilio, servizi di trasporto, ecc.) e alla rete informale, composta da familiari, amici e vicini. È però necessario andare oltre l’opposizione tra casa per anziani e domicilio, considerando le diverse prestazioni come complementari. Con la nuova pianificazione delle politiche destinate agli anziani, il Cantone conferma l’orientamento verso la presa in carico domiciliare, ma nel contempo promuove una maggiore integrazione dei vari interventi e ambiti. Un approccio integrato che presenta diversi vantaggi. In particolare, favorisce la continuità della presa in carico, ragionando in termini di percorsi piuttosto che di singole prestazioni”.
 
Anziani un problema o una potenziale risorsa?
“L’invecchiamento della popolazione ci pone davanti a diverse sfide, ma sarebbe sbagliato considerare gli anziani un problema. Al contrario, le persone anziane rappresentano una risorsa importante per le famiglie e la società. La stragrande maggioranza delle persone anziane, anche quelle più fragili, forniscono un prezioso sostegno ai propri cari, a livello pratico, finanziario e soprattutto emotivo. D’altro canto, gli anziani sono sempre più impegnati nel volontariato. Si tratta di una solidarietà silenziosa e spesso trascurata. La pandemia, oltre alle conseguenze negative già menzionate, ha privato molte persone anziane della possibilità di occuparsi degli altri, di rendersi utili, di svolgere delle attività che contribuiscono a dare senso alla propria vita e che alimentano l’autostima. Parafrasando Oliver Sacks la pandemia ha impedito agli anziani di provare gratitudine non solo per quanto ricevuto dagli altri, ma anche per essere riusciti a dare qualcosa in cambio”.