Pasò
de todo dentro del’area. L’ultima frase della stagione, ma sì.
Quando Rodriguez ha completato il “todo” con il colpo di testa
della vittoria sull’Italia si può dire basta e darsi ai bagni. Si
è condensato il calcio intero nel mischione di maglie bianche e
celesti a cinque minuti dalla fine, un frappé di fine pasto nella
coppa del mondiale Under 20. Allo Stadio Maradona di La Plata, uno
dei molteplici universi sterrati dedicati all’Eterno, la Celeste ha
acceso una delle sue tante stelle, in rappresentanza di un Paese con
meno di quattro milioni di abitanti e un miliardo di palle, vere e
metaforiche, di pezza e di cuoio, di stracci e di kevlar. Perfino il
mio amico Meo, quando riapre l’album Panini dei Mondiali in Qatar,
il suo dito innocente si ferma sulle due pagine della nazionale
charrua, come se un incanto ne muovesse l’inconsapevole ammirazione
per un popolo che fronteggia
la sorellona Argentina con amicizia e fierezza. Forse davvero
andrebbe proibito il calcio a chi ha più di vent’anni e si
costruisce sovrastrutture
che cancellano dribbling e visioni. Ma purtroppo non è così, il
mondo intero è in mano ai vecchi che cercano di salvarsi prima della
morte e di mangiare tutto senza lasciti. È chiaro a chiunque che
senza la corruzione tattica e coloniale di noi europei del calcio,
quelli che chiamiamo sub-continenti (e come tali li trattiamo) ci
schiantano con il coraggio l’altruismo e la fantasia. Finire l’anno
in questo modo, seppure per interposta voglia, è una bellezza.
L’uruguayano Rodriguez di nome fa Luciano, come mio zio che a
cinquant’anni offriva ancora finte di corpo che noi prossimi al
Duemila ancora non capivamo, finendo da una parte
e lui con la palla dall’altra. In Uruguay esistono ancora tipi così, come mio zio. E vincono. Pasò de todo dentro del’area.
Calcio
Nuove stelle uruguayane
I sudamericani hanno conquistato il Mondiale Under 20