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mano che l'adrenalina per Manchester City-Inter si attenua, si
comincia con calma ad analizzare la partita, e non solo. Va detto che
questa finale verrà ricordata a lungo, qualcuno sostiene che una
sconfitta netta avrebbe lasciato l'animo del tifoso più tranquillo.
Noi abbiamo qualche dubbio: preso atto (ma lo sapevamo) che la calma
olimpica di tanti amici con nel cuore i colori nerazzurri era dettata
da una prosaica scaramanzia, ci permettiamo di dire che una sconfitta
onorevole, al cospetto di una squadra data per favorita alla vigilia,
è meglio di una sconfitta secca, magari maturata in modo evidente
già nei primi minuti. In realtà, come già scritto da altri, Simone
Inzaghi ha dimostrato, ancora una volta, i suoi pregi e i suoi
difetti. I pregi, l'aver creato qualche grattacapo tattico al suo
blasonato dirimpettaio. Favorito dai ritmi bassi, imposti a sorpresa
dai britannici, il tecnico emiliano ha intelligentemente chiuso tutte
le linee centrali di passaggio. A inizio gara, soprattutto, quando la
palla passava, sulle fasce, dai piedi Bernardo Silva o Grealish, non
si vedeva quasi mai lo scambio verso il centro, sula tre quarti, a
favore di Rodri o De Bruyne, grazie all'interdizione del centrocampo
interista, Nicolò Barella e Marcelo Brozović su tutti.
Aggiungiamoci una manovra lenta e farraginosa, ed ecco
l'impossibilità di innestare Haaland in velocità. Foden, subentrato
al belga, in una sola occasione si è inventato un'occasione
interessante (fallendola), ma per il resto i discepoli di Pep hanno
fatto più che altro del gran possesso palla, lontani dai 16 metri
avversari. Non proprio un bello spot per il calcio, ma tant'è. Dopo
i pregi, parliamo dei difetti. Con un organico che costa 132 milioni
lordi d'ingaggio annui, l'Inter avrebbe dovuto vincere lo scudetto lo
scorso anno sicuramente, e quest'anno magari, visti i guai (fuori dal
campo, ma non solo) dei rivali di sempre della Juventus e la stagione
del Milan, bello in autunno (quando, nel derby, fece a brandelli i
cugini) e insondabile nel resto della stagione, anche per la solita
trafila d'infortuni. Invece, Simone Inzaghi ha chiuso secondo lo
scorso anno a -2 dal vertice ma, soprattutto, terzo quest'anno a -
18, sopravanzato anche dalla Lazio, che pure aveva un organico molto,
molto inferiore a quello dei milanesi. Certo, ha recuperato il - 2
coi cugini, che si è preso la soddisfazione di battere 4 volte nel
2023: tuttavia, il bilancio è lo stesso della passata stagione. Ha
giocato 5 finali in 20 mesi: ma ha perso quella che contava davvero.
Oggi sono in pochi a metterlo in discussione, rispetto a pochi mesi
fa. Ma la sensazione è che ciò non avvenga per una sorta di
riconoscenza, per aver regalato al popolo nerazzurro delle grandi
emozioni in Europa. Quando qualcuno realizzerà che la Coppa è
andata in Inghilterra, nonostante i festeggiamenti e i tanti meme di
ringraziamento, siamo certi che la discussione riprenderà. Fermo
restando che l'aspetto finanziario va tenuto in considerazione: a
quei costi (non proprio bassissimi, tra l'altro), di meglio in
circolazione non c'è nulla. Come si spiega questo rendimento? A
nostro parere, con una mentalità che non è ancora del tutto
vincente. Inzaghi , lo scorso anno, nei momenti di morale alto, ha
fatto vedere un gioco di grande spessore, migliore sicuramente di
quello messo in scena dal predecessore Antonio Conte: uno che,
invece, la mentalità vincente ce l'ha, eccome. Quando però la
fiducia cala (e può succedere) il tecnico inizia a lanciare messaggi
negativi ai suoi. Le sostituzioni dei giocatori ammoniti anche contro
la logica tattica, a denotare un certo timore, e diverse prestazioni
(in campionato) piuttosto deludenti. In Europa, le cose sono andate
meglio: però, al momento decisivo, nonostante le belle cose di cui
sopra, sabato sera è mancato il coraggio di provare a vincere. Il
City è una corazzata, certo. Ma, come già scritto, sabato era in
soggezione. E, giocando a passo camminato, ha perso tanto del suo
smalto, e della sua forza. Imbeccato con lanci lunghi in profondità,
Haaland diventa uno dei tanti, per dire. E Acerbi ha avuto buon gioco
a controllarlo, fermo restando che il norvegese gli è scappato via
quelle volte che hanno provato a lanciarlo in velocità, a
dimostrazione che l'intensità e la ricerca della profondità a ritmi
elevati sono l'arma in più degli inglesi. L'Inter, in definitiva, ha
fatto vedere le cose migliori quando, costretta dal risultato, ha
provato a mordere. E, lì, si è accorta che i Citizens, almeno
l'altra sera, erano una squadra come tante delle altre affrontate in
precedenza. Meno forte del Bayern Monaco, passato due volte in
surplace nel girone eliminatorio, forse al livello del Barcellona
autunnale, superato dai nerazzurri. E, in quei concitati minuti, la
partita ha rischiato di entrare nella leggenda. Com'è andata, lo
sappiamo. Ma un altro tecnico, magari, avrebbe inserito un Mkhitaryan
seppure non con i 90' nelle gambe al posto di uno spento Hakan
Çalhanoğlu, oltre a Romelu Lukaku per Edin Džeko. Aprire il gioco
avrebbe favorito il Manchester? Chissà. Ma in una finale, devi
provare a vincere, soprattutto quando, durante la gara, ti accorgi
che gli avversari sono in una serata difficile. E ciò che è
accaduto più tardi, con gli italiani molto più vicini al gol del
pari di quanto i britannici a quello del raddoppio, è la controprova
che, a volte, nel calcio manca, quando si discute col senno del poi.
In definitiva, questa è la tara che, per ora, sta impedendo a Simone
Inzaghi di essere ammesso al club di quelli che stanno in prima
fascia. A un certo punto, Simone ha fatto inginocchiare Pep, quando
Manuel Akanji ha commesso un errore che poteva costare
carissimo: ma Lautaro, un altro che difetta del giusto carattere per
reggere queste temperature (e non è un caso che nella nazionale
argentina sia una riserva), ha concluso addosso al portiere
avversario, anziché vedere Marcelo Brozović tutto solo, là dove
poteva davvero fare male. Eupalla, evidentemente, che premia
l'audacia, ha chiuso agli occhi all'attaccante sudamericano, punendo
anche il suo allenatore, seduto in panchina con Henrikh Mkhitaryan.
Il quale, vista la grinta messa nei pochi minuti nei quali è stato
in campo, ha dimostrato che mezz'ora di autonomia l'avrebbe avuta.
Almeno secondo la bizzosa dea del calcio. Che ha voluto premiare Pep
Guardiola ma, probabilmente, per quanto fatto sin lì, e non certo
per la prova dei suoi sabato sera. Inspired by Milan, made in
Manchester: well done, guys.
Calcio
Il caso Inzaghi
Perché l'allenatore dell'Inter non può essere considerato ancora un grande