Podismo
"Tutto può succedere"
Il racconto del podista ticinese Filippo Rossi dalla lontana Mongolia
Pubblicato il 20.06.2023 06:51
di Angelo Lungo
L'ultramaratona è una competizione complicata, bisogna avere la forza, fisica e morale, di andare oltre. Si corre in “autosufficienza”, è necessario uno zaino, che contiene ciò che permette di sopravvivere. La preparazione prevede allenamenti quasi quotidiani e bisogna tenere sotto controllo l'alimentazione. E poi c'è l'aspetto mentale. Corpo e anima devono essere in simbiosi. Si attraversano paesaggi mozzafiato e si procede in solitudine: il podista sente il suo respiro, ascolta i suoi piedi che calpestano la testa e pensa. Davanti c'è l'orizzonte sconfinato, l'obiettivo è raggiungerlo, ma poi, dopo il meritato riposo, in una tenda o in un accampamento locale, deve riprendere la marcia. Filippo Rossi è in “battaglia”, si trova in Mongolia. Siamo in contatto anche se in maniera precaria. Ecco le sue parole dopo alcune tappe. “Al primo bivacco va tutto bene, il fisico tiene. Siamo partiti con un ritmo duro. Sono sollevato, sento che il mio corpo risponde”. Continua: “Molti concorrenti si sono caricati con uno zaino pesante. Ma il terreno è fatto di salite dure e ripide. Sono stato rallentato, avevo lo stimolo di andare in bagno e l'ho trattenuto”. Ci descrive la steppa in tutta la sua bellezza. La notte c'è vento e pioggia, e poi arriva il sole che riscalda. Le montagne sembrano le nostre Alpi e all'improvviso spuntano dal nulla le piccole yurte (le abitazioni mongole dei popoli nomadi). Ma nel prosieguo ecco le difficoltà, durante una tappa di 40 km: “Ho sofferto come non mai. Mi sentivo vuoto dentro e senza energie. Percorso durissimo, caldo asfissiante e saliscendi che spaccano le gambe. Ho perso posizioni. Mi sono dovuto fermare per mangiare. I muscoli gridavano vendetta. Ma non è bastato”. Le sensazioni: “Ho pensato più volte al ritiro, senza crederci, non lo contemplo nemmeno. Voglio arrivare in fondo. Il distacco dal primo non mi blocca, mi sprona a provarci”. E conclude: “Nulla è perduto sino alla fine. Tutto può succedere”. Quando si percorre un cammino, si trova un destino.