L'ultramaratona
è una competizione complicata, bisogna avere la forza, fisica e
morale, di andare oltre. Si corre in “autosufficienza”, è necessario uno zaino, che contiene ciò che permette di sopravvivere. La
preparazione prevede allenamenti quasi quotidiani e bisogna tenere
sotto controllo l'alimentazione. E poi c'è l'aspetto mentale. Corpo
e anima devono essere in simbiosi. Si attraversano paesaggi
mozzafiato e si procede in solitudine: il podista sente il suo
respiro, ascolta i suoi piedi che calpestano la testa e pensa.
Davanti c'è l'orizzonte sconfinato, l'obiettivo è raggiungerlo, ma
poi, dopo il meritato riposo, in una tenda o in un accampamento
locale, deve riprendere la marcia. Filippo Rossi è in “battaglia”,
si trova in Mongolia. Siamo in contatto anche se in maniera precaria.
Ecco le sue parole dopo alcune tappe. “Al primo bivacco va tutto
bene, il fisico tiene. Siamo partiti con un ritmo duro. Sono
sollevato, sento che il mio corpo risponde”. Continua: “Molti
concorrenti si sono caricati con uno zaino pesante. Ma il terreno è
fatto di salite dure e ripide. Sono stato rallentato, avevo lo
stimolo di andare in bagno e l'ho trattenuto”. Ci descrive la
steppa in tutta la sua bellezza. La notte c'è vento e pioggia, e poi
arriva il sole che riscalda. Le montagne sembrano le nostre Alpi e
all'improvviso spuntano dal nulla le piccole yurte (le abitazioni
mongole dei popoli nomadi). Ma nel prosieguo ecco le difficoltà,
durante una tappa di 40 km: “Ho sofferto come non mai. Mi
sentivo vuoto dentro e senza energie. Percorso durissimo, caldo
asfissiante e saliscendi che spaccano le gambe. Ho perso posizioni. Mi sono
dovuto fermare per mangiare. I muscoli gridavano vendetta. Ma non è
bastato”. Le sensazioni: “Ho
pensato più volte al ritiro, senza crederci, non lo contemplo
nemmeno. Voglio arrivare in fondo. Il distacco dal primo non mi
blocca, mi sprona a provarci”.
E conclude: “Nulla è perduto sino alla fine. Tutto può
succedere”. Quando si percorre
un cammino, si trova un destino.
Podismo
"Tutto può succedere"
Il racconto del podista ticinese Filippo Rossi dalla lontana Mongolia