Un giocatore, un allenatore, un grande uomo
Essere… Trap
Un personaggio che ha attraversato il calcio con garbo e rispetto
Pubblicato il 17.03.2021 23:01
di Angelo Lungo
“Il pallone è una bella cosa, ma non va dimenticata una cosa: che è gonfio d’aria”.
Il 17 marzo del 1939 nasce a Cusano Milanino Giovanni Trapattoni. Una vita in campo. Inizia come calciatore, è un mediano e di lui le cronache riportano duelli duri e leali con Pelè e straordinarie vittorie conquistate con la maglia rossonera.
Vince: due scudetti, una Coppa Italia, due Coppe dei Campioni, una Coppa delle Coppe e una Coppa Intercontinentale.
Colleziona 284 presenze in seria A e indossa per 17 partite la casacca della Nazionale.
Smette di giocare e inizia ad allenare le giovanili del Milan, nel 1976 con un gesto coraggioso Boniperti gli affida la Juve. E poi di seguito siede sulle panchine:  dell’Inter, del Bayern, della Fiorentina, del Benfica, della Nazionale italiana.
In totale conquista ventidue trofei tra scudetti e coppe.
L’allenatore è uno strenuo difensore dello spirito di squadra. Deve guardare i suoi calciatori tutti allo stesso modo. Deve formare una squadra in cui tutti i componenti pensano simultaneamente nella identica maniera, si chiama: organizzazione. Deve possedere la capacità di trasmettere coraggio e autostima. Una formazione rispecchia il proprio tecnico.
Ecco il Trap allenatore: “I giocatori sono liberi di fare quello che dico io”.
Etichettato come difensivista: quando il contropiede è diventato ripartenza, quando la tattica ha cominciato a significare occupazione degli spazi, quando il fuorigioco è stato subliminato e quando il 4-4-2 è diventato un dogma.
Eppure con la Juve arrivò a schierare: Cabrini (terzino fluidificante), Platini, Boniek, Bettega e Rossi.
Nell’Inter dei record: Brehme (terzino fluidificante), Berti (un centrocampista anarchico), Matthäus, Diaz e Serena.
Il pallone moderno rotola veloce, è un profluvio di immagini, istantanee che si dimenticano subitaneamente, vive di pulsioni e non di sentimenti..
Il calcio del Trap è di quelli che va raccontato e ricordato. È quello poetico, tecnico e colmo di passione.
Origini popolane le sue ma diventato nobile per gesti e comportamenti. La sua storia esemplare esalta il football, lo rende epico e leggendario.
“Giocando al calcio e poi allenando tante squadre, ho sempre pensato che questo sport potesse e possa insegnare molto. Se è lo sport più amato del mondo, un motivo deve pur esserci. Ho sempre pensato che nulla accade per caso. È un insegnamento che mi porto dietro… che mi porto dietro dalla mia storia, dalla fede dei miei genitori, dalla mia terra”.
Chiosa finale, lo ammetto e lo confesso: si tratta di apologia di allenatore, ma in questo caso la levatura dell’uomo sovrasta di molto il personaggio.
A Giovanni Trapattoni non bisogna che dire: grazie di essere Trap.