Generazioni
di interisti sono state cresciute con una narrazione, quella che
parlava della “Grande Inter”. Un racconto continuo e incessante,
un ricordo tramandato con amore e senza nostalgia. La sublimazione
era la recita, come una preghiera, della formazione: Sarti; Burgnich;
Facchetti; Tagnin; Guarneri; Picchi; Jair; Mazzola; Milani; Suarez;
Corso; allenatore Helenio Herrera. Luis Suarez indossava il numero
10, era il regista geniale e fantasioso, era proverbiale il suo
lancio lungo. Andava oltre con il pensiero, le sue non erano semplici
geometrie ma traiettorie immaginifiche. Arrivò a Milano dal
Barcellona, comprato per 300 milioni, cifra che i catalani
utilizzarono per costruire un anello del Camp Nou. Con i nerazzurri
vinse tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe
Intercontinentali, fu Pallone d'oro nel 1960. Era
l'Italia degli anni Sessanta. Il paese volgeva lo sguardo speranzoso e
sognante verso lo sviluppo. L'orizzonte era il progresso. L'esistenza
che prometteva benessere. La democrazia delle opportunità: tutti
potevano migliorare il loro tenore di vita. L'ascensore sociale
cominciava a funzionare: bastava osare ed essere ambiziosi. Si
affacciavano sulla scena pubblica nuovi attori sociali: donne e
giovani. Via dal lavoro duro delle campagne, la meta era la città:
quella della fabbrica e dei servizi. Contadini che volevano essere
operai e forse un giorno i loro figli sarebbero diventati,
addirittura, impiegati. Milano era al centro di questa mutazione:
volgeva le spalle al Mediterraneo e intendeva replicare il modello
del Nord Europa: quello della ricchezza e dell'opulenza. Attraversava
quei tempi Angelo Moratti. Si inventò petroliere, in un paese
sprovvisto di quella materia prima. Fu un successo. Ma non gli
bastava. Scelse il calcio per prendersi la ribalta sociale. Nel 1955
comprò l'Internazionale. Ma niente: tanti soldi spesi e le vittorie
che latitavano. Ma l'arrivo di Herrera prima e di Suarez dopo,
cambiarono la storia. L'allenatore era chiaro, rivolgendosi ai suoi
giocatori, nei suoi dettami: “Se non sapete cosa fare, date palla a
Suarez”. Il legame tra il fuoriclasse è Milano è stato
indissolubile. Adios Luisito, il tempo lo hai sconfitto, l'Interismo
e la Beneamata non ti dimenticheranno, mai.
Calcio
Luisito
Era un campione, era il regista della Grande Inter