CICLISMO
Il povero Puy-de-Dôme torna nell’oblio
I più forti hanno beccato oltre dieci minuti e si sono azzannati solo per la generale
Pubblicato il 09.07.2023 22:30
di Giorgio Genetelli
Il tempo non torna più e il Puy-de-Dôme è solo un povero vulcano spento snobbato dai giovanotti. Ha vinto un canadese, superando un francese inconnu, uno sloveno minore, un americano emigrato, più o meno una barzelletta. I più forti hanno beccato oltre dieci minuti e si sono azzannati sofficemente solo per la generale, come se tornare sul vulcano del Massiccio Centrale fosse una semplice questione cartografica e non lo sfiorare Leggenda.
Non si fa così.
Niente tifosi, trenino fermo e copione che perfino il mio amico Meo avrebbe previsto, con Pogacar all’attacco ai meno due, Vingegaard che tiene concedendo una manciata di secondi. Che delusione, aspettare 34 anni in mezzo alle Langhe con una connessione da esaurimento per vedere noia e indifferenza, per me, per noi, per tutti.
Del resto, il povero monte aveva già dovuto far i conti con il confuso Blaise Pascal, che nasceva alle sue pendici più o meno di questi giorni, ma quattrocento anni fa e che, dopo aver escogitato questioni scientifiche di un certo livello, ha cominciato a delirare con delle tesi pittoresche su dio e sulle scommesse da fare sul crederci o non crederci, come se fossero affari suoi anche i nostri.
Un po’, un po’ tanto delirante pure l’organizzazione del Tour, che pensava forse di rinfocolare le gesta di Anquetil Coppi Van Impe Bahamontes Ocana Merckx Poulidor Zoetemelk Fignon Hinault, ma in tempi di oreillettes e watt, dittature algoritmiche che neanche Orwell.
Lassù vinse anche lo svizzero Mächler e nell’89, per l’ultima ascesa, il danese Weltz. Analogici al cubo, per dirla con Pascal. E invece ieri vince Woods e la maglia a pois del miglior scalatore la porta in giro Powless, che sulle salite si sgrana come una vecchia foto, calcolando più che pedalare.
A guardare l’ordine d’arrivo si può capire che il Puy-de-Dôme è superati da eventi ordinari, ma tali da riconfinarlo, peraltro senza colpa, nell’oblio per altri 34 anni. E con lui, me stesso e qualche altro sognatore ateo.