Podismo
"Siamo altro e molto di più"
La testimonianza di Filippo Rossi, il podista ticinese parla di sport ma non solo
Pubblicato il 12.07.2023 05:23
di Angelo Lungo
La stagione di Filippo Rossi è cominciata in Australia, dove ha gareggiato in una delle ultramaratone più lunghe al mondo, la distanza da percorrere era di 520 km durante 10 giorni dal 17 al 26 maggio. Ecco il podio e la conquista di un prestigioso secondo posto. Il podista, rientrato in Ticino, ha cercato di recuperare ed è ripartito per la “Gobi March” direzione Mongolia, 250 chilometri da completare, la gara si è tenuta tra il 18 e il 24 giugno. Filippo ha sofferto, le ambizioni della vigilia le ha dovute riporre, l'obiettivo è diventato resistere e terminare, riuscire a concludere. Quello dell'ultramaratona è un mondo a parte, è una categoria esistenziale. L'allenamento deve essere specifico ma soprattutto serve la motivazione. Il coraggio è obbligatorio e quando le forze mancano bisogna scovarle nel profondo: dove c'è l'anima. Il suo pensiero sull'esperienza è una straordinaria testimonianza, è uno sprazzo di vita, racconta l'umano in maniera disarmante e ci ricorda che tutto è possibile.
La forza mentale, la vera forza che ognuno di noi possiede nel suo cuore e nell'anima, si mostra proprio quando si è in difficoltà e si vuole mollare tutto. Anche io volevo mollare tutto. Volevo andarmene a casa. Quel giorno non respiravo, non riuscivo a bere e a mangiare. Mi chiedevo perché fossi andato a mettermi in un casino del genere. Il podio era ormai un sogno svanito. Il corpo non seguiva più, ero stanco, e troppi erano i chilometri da percorrere. Erano due giorni che avanzavo soffrendo ad ogni passo. E avevo davanti a me ancora più di 200 chilometri. Ma poi le cose sono cambiate. Un dottore, magicamente, ha capito il mio problema, ma la verità è che la mia testa era ancora convinta di potercela fare, e voleva dimostrarmi quanto era forte e determinata, sono stato in grado di recuperare e ho cercato di riparare al danno fatto. Mi sono rialzato, ho rimesso lo zaino sulle spalle. Ho cominciato a correre e... Non mi sono più fermato. Come diceva la mia compagna di tenda Tea, 'mollare un cazzo'! E aveva ragione. Dal baratro, sono tornato in alto. Ormai le speranze di risultato erano vane. Ma non importa. Rimane il ricordo di quello che sono riuscito a fare e come è riuscito a ricostruirsi il mio corpo. Un riscatto pazzesco. Noi non siamo sola materia. Siamo altro e molto di più. E ora che la gente se lo ficchi nella zucca”.