Calcio
L’Amore crolla con il Camp Nou e la Valascia
Non erano dei semplici impianti ma luoghi che avevano un'anima
Pubblicato il 12.07.2023 10:03
di Giorgio Genetelli
Il dilemma sta crescendo e la prossima distruzione del Camp Nou per far posto a un nuovo stadio non ha fatto altro che renderlo inquietante fino all’insonnia, la nostra. È questo: i tifosi veri sono quelli che vanno allo stadio o sono quelli che non ci vanno più? Che poi subito scatena un’altra questione: si è tifosi dello stadio o della squadra? Corollari per analizzare meglio. Uno: i gatti si affezionano più ai luoghi che alle persone. Due: l’umano si affeziona a un altro umano conoscendolo. Tre: le case dei nonni sono sempre più belle. Quattro: il maiale con la cravatta non sta bene. Avvertenza, non è necessario usare tutti e quattro i corollari, ma è meglio tenerli a mente. La potente retorica del commercio dirigenziale dice: i giocatori vanno e vengono, il club resta. Mai una volta che dicano che anche loro, i leader, vanno e vengono, come se il fine ultimo di ognuno di noi non li riguardasse, vabbè è un delirio d’onnipotenza da (prima) pietra filosofale. Ovviamente sanno (si spera, neh) di non durare in eterno, e allora cosa c’è di meglio di costruirsi un monumento da vivi per essere ricordati da morti? Uno stadio nuovo, ecco. Il tutto spinto da un breviario di frasi strafatte: Garantiamo il futuro! Deve vivere tutti i giorni e non solo per la partita! La gente vuole le comodità! La sicurezza! Le lounge renderanno tantissimo! Si autofinanzierà e genererà ricavi! La nostra nuova casa! Eccetera, eccetera, bli e bla. Le notti insonni pensando ai luoghi della memoria demoliti dalla modernità – Paolo Nori, per interposti personaggi della sua magnifica immaginazione, suggerisce nomi della letteratura russa da gettare dalla Nave Modernità – le notti insonni sono dunque troppe e il dilemma non si scioglie. Se nei nuovi stadi ci sono più tifosi abbonati rispetto a quelli vecchi, allora è facile dire che i veri tifosi vanno allo stadio e che ok, il cambio è giusto. Se poi si pensa che tutto costa molto più di prima, dalle patatine al biglietto, sembra una conferma dell’Amore, oltre ad essere disposti a tutto. Ma, ma… Non viene il dubbio che questa fidelizzazione possa essere l’allestimento di una classe chiusa, di una casta, col rischio di disinnamorare chi resta fuori? Già di per sé il tifo per una squadra è esclusivo, come l’Amore appunto, e chi si chiama fuori è un traditore della causa, paroloni che non andrebbero usati mai. Eppure si ama anche da lontano, abbandonati, con la casa crollata. E se fosse la casa, lo stadio, il tempio dell’Amore, forse una parte decisiva dell’Amore stesso? Allora, forse, sono proprio quelli che non vanno nella casa nuova i tifosi veri, come i gatti. Se le persone vanno e vengono, la casa resta la sola certezza. Distrutta la casa, non resta niente e quella nuova non è voluta e non è tua. Ora, qui non si punta il dito verso nessuno poiché si rischia il sacrilegio, ma tanto si sa che contumelie e derisioni sono in punta di tastiera e che la prima pietra, non negarlo, me la tireresti tu. Ma vedremo se al nuovo Camp Nou, il cui nome fa già tremare i polsi e andatelo a cercare che qui ci si rifiuta di scriverlo, torneranno i popoli e non solo i rappresentanti ricchi e comodi (105mila posti a sedere, dicono), distratti dalle luci e dalle coppe(tte) di sciampagna. Di certo, e questo scrivano ex-innamorato lo dice apertamente, aver perso la casa Valascia, la casa dei nonni, è stato perdere l’Amore, quando un po’ d’argento tra i capelli già li colora. E al maiale la cravatta sta male, tra l’altro.