Il
dilemma sta crescendo e la prossima distruzione del Camp Nou per far
posto a un nuovo stadio non ha fatto altro che renderlo inquietante
fino all’insonnia, la nostra. È questo: i tifosi veri sono quelli
che vanno allo stadio o sono quelli che non ci vanno più? Che poi
subito scatena un’altra questione: si è tifosi dello stadio o
della squadra? Corollari per analizzare meglio. Uno: i gatti si
affezionano più ai luoghi che alle persone. Due: l’umano si
affeziona a un altro umano conoscendolo. Tre: le case dei nonni sono
sempre più belle. Quattro: il maiale con la cravatta non sta bene.
Avvertenza, non è necessario usare tutti e quattro i corollari, ma è
meglio tenerli a mente. La potente retorica del commercio
dirigenziale dice: i giocatori vanno e vengono, il club resta. Mai
una volta che dicano che anche loro, i leader, vanno e vengono, come
se il fine ultimo di ognuno di noi non li riguardasse, vabbè è un
delirio d’onnipotenza da (prima) pietra filosofale. Ovviamente
sanno (si spera, neh) di non durare in eterno, e allora cosa c’è
di meglio di costruirsi un monumento da vivi per essere ricordati da
morti? Uno stadio nuovo, ecco. Il tutto spinto da un breviario di
frasi strafatte: Garantiamo il futuro! Deve vivere tutti i giorni e
non solo per la partita! La gente vuole le comodità! La sicurezza!
Le lounge renderanno
tantissimo! Si autofinanzierà e genererà ricavi! La nostra nuova
casa! Eccetera, eccetera, bli e bla. Le notti insonni pensando ai
luoghi della memoria demoliti dalla modernità – Paolo Nori, per
interposti personaggi della sua magnifica immaginazione, suggerisce
nomi della letteratura
russa da gettare dalla Nave Modernità – le notti insonni sono
dunque troppe e il dilemma non si scioglie. Se nei nuovi stadi ci
sono più tifosi abbonati rispetto a quelli vecchi, allora è facile
dire che i veri tifosi vanno allo stadio e che ok, il cambio è
giusto. Se poi si pensa che tutto costa molto più di prima, dalle
patatine al biglietto, sembra una conferma dell’Amore, oltre ad
essere disposti a tutto. Ma, ma… Non viene il dubbio che questa
fidelizzazione possa essere l’allestimento di una classe chiusa, di
una casta, col rischio di disinnamorare chi resta fuori? Già di per
sé il
tifo per una squadra è esclusivo, come l’Amore appunto, e chi si
chiama fuori è un traditore della causa, paroloni che non andrebbero
usati mai. Eppure si ama anche da lontano, abbandonati, con la casa
crollata. E se fosse la casa, lo stadio, il tempio dell’Amore,
forse una parte decisiva dell’Amore stesso? Allora, forse, sono
proprio quelli che non vanno nella casa nuova i tifosi veri, come i
gatti. Se le persone vanno e vengono, la
casa resta la sola certezza. Distrutta la casa, non resta niente e
quella nuova non è voluta e non è tua. Ora, qui non si punta il
dito verso nessuno poiché si rischia il sacrilegio, ma tanto si sa
che contumelie e derisioni sono in punta di tastiera e che la prima
pietra, non negarlo, me la tireresti tu. Ma vedremo se al nuovo Camp
Nou, il cui nome fa già tremare i polsi e andatelo
a cercare che qui ci si rifiuta di scriverlo, torneranno i popoli e
non solo i rappresentanti ricchi e comodi (105mila posti a sedere,
dicono), distratti dalle luci e dalle coppe(tte) di sciampagna. Di
certo, e questo scrivano ex-innamorato lo dice apertamente, aver
perso la casa Valascia, la casa dei nonni, è stato perdere l’Amore,
quando un po’ d’argento tra i capelli già li colora. E al maiale
la cravatta sta male, tra l’altro.
Calcio
L’Amore crolla con il Camp Nou e la Valascia
Non erano dei semplici impianti ma luoghi che avevano un'anima